Il supply chain commerce e l'imperativo ecologico
Secondo McKinsey, ora gli investimenti in tecnologia e automazione nei centri di distribuzione sono la priorità per molti Chief Supply Chain Officer
Il supply chain commerce e l'imperativo ecologico
Oggi siamo nel bel mezzo di un cambiamento epocale e la pandemia ha evidenziato la fragilità di molte reti di supply chain. L'incapacità di percepire e di adattarsi ai segnali mutevoli della domanda, alle preferenze dei consumatori, ai requisiti della manodopera, ai trasporti, allo storage, alle scorte e ai cambiamenti delle trade policy ha causato danni alle economie e ai brand di tutto il mondo.
Secondo McKinsey, ora gli investimenti in tecnologia e automazione nei centri di distribuzione sono la priorità per la maggior parte dei Chief Supply Chain Officer. Gartner ha recentemente aumentato le previsioni sulla tecnologia supply chain management dall'8% al 14%, in termini di tasso composto di crescita annuale, prevedendo un investimento di 28 miliardi di dollari entro il 2025.
Ora i retailer vogliono trasformare le esperienze negli store, quelle digitali, di fulfilment e di servizio nel tentativo di conquistare i consumatori omnichannel, di incrementare la produttività dei dipendenti e di aumentare la redditività, cercando al contempo di bilanciare le crescenti prerogative ambientali. Queste iniziative si sono diffuse anche nelle supply chain, consentendo ai brand di sfruttare i vantaggi del cloud, dell'architettura IT componibile, dei microservizi e dell'AI, nel tentativo di far incontrare offerta e domanda.
Oggi nel retail c'è una scelta esponenzialmente più ampia di prodotti, opzioni di acquisto, fulfilment, delivery, modalità di pagamento e molto altro: i consumatori controllano il buying journey, rendendo molto più complicato per i brand soddisfare le loro aspettative.
In aggiunta ad un quadro già abbastanza complesso, si sta verificando un (ottimo) effetto imprevisto che sta cambiando le aziende più di ogni altra cosa: un numero crescente di consumatori, guidati soprattutto dalla Generazione Z, che pone una forte enfasi sulla sostenibilità e sulle credenziali green.
L'insieme di questi trend e sfide sta creando la situazione perfetta per quello che Manhattan Associates, azienda tech che opera nel settore della supply chain e nel commercio omnicanale, definisce supply chain commerce. Una categoria di mercato emergente che punta a risolvere lo storico problema della domanda e dell'offerta e di spostare le merci dal punto A al punto B. Ciò significa soprattutto riprogettare le supply chain fisiche e digitali per renderle più connesse e innovative.
In termini di domanda, negli ultimi due anni un gran numero di consumatori è diventato omnichannel native, effettuando acquisti presso store fisici, online e call center, attraverso app mobili, social media e persino pop-up store. Si aspettano che i brand conoscano i loro gusti e le loro preferenze, li assistano e soddisfino i loro acquisti come, quando e dove vogliono. Inoltre, richiedono sempre più visibilità sulle pratiche aziendali dei brand, come le iniziative di sostenibilità, e spesso si aspettano di vedere una prova tangibile dell'impatto ambientale associato ai loro acquisti.
Se si considera la fornitura, molti brand gestiscono ancora supply chain antecedenti alle funzionalità omnichannel e alcuni gestiscono ancora l'e-commerce e gli store fisici in modo indipendente l'uno dall'altro. Non abbastanza agili per soddisfare le richieste dei consumatori moderni, questi sistemi obsoleti non funzionano più in un panorama di retail digital-first, sia in termini economici che, soprattutto, dal punto di vista ambientale.
La Generazione Z predilige l’acquisto attraverso vari canali, ha uno spiccato interesse per gli articoli qualitativamente alti e, cosa altrettanto importante, è desiderosa di rimanere al passo con gli sviluppi culturali come la sostenibilità. Inoltre, ritiene che le generazioni precedenti abbiano rappresentato il consumismo, il capitalismo e il materialismo, il che significa che, al contrario, oggi la nuova generazione di consumatori si sente più vicina a brand che rispecchiano i loro valori fondamentali, come l'ambientalismo, l'uguaglianza e il commercio equo e solidale.
Le supply chain sono senza dubbio uno dei pilastri fondamentali su cui poggiano la globalizzazione, il capitalismo e il consumismo. Eppure, questi temi sono spesso citati come le cause principali dell'attuale emergenza climatica che ci troviamo ad affrontare. Il supply chain commerce rappresenta qualcosa di più del soddisfacimento diretto della domanda e dell'offerta: crea nuove opportunità per i brand offrendo ai consumatori prodotti più ecologici e sostenibili, e inoltre amplia le opzioni di spedizione e le modalità di reso.
La giusta tecnologia può consentire un processo di acquisto con una procedura di imballaggio più efficiente che limita i volumi di spedizione, fino a un percorso di trasporto ottimizzato che riduce i chilometri percorsi, i truck in strada e gli aerei in volo. In questo modo, si ottiene una diminuzione delle emissioni di CO2, un'esperienza eccezionale per i clienti e un maggiore allineamento con i sentimenti dei consumatori.
In conclusione, l'integrazione delle economie nazionali in un sistema economico globale è stato uno degli sviluppi più significativi dell'ultimo secolo. Non dobbiamo perdere di vista il fatto che il flusso di merci è di vitale importanza per il sostentamento e il benessere di miliardi di persone in tutto il mondo ma, allo stesso tempo, è diventato necessario riconoscere che lo spostamento delle merci può essere intrinsecamente dannoso per l'ambiente e un crescente numero di consumatori chiede che si faccia meglio.
Il supply chain commerce offre al capitalismo un momento “sliding doors” per prendere una strada diversa: rappresenta una possibilità per il capitalismo di ritrovare la propria coscienza e di diventare un catalizzatore per un futuro più ecologico e sostenibile, in cui le aspettative dei consumatori e la salute del nostro pianeta possano coesistere.