John Elkann pronto a vendere i suoi giornali: ecco che cosa ha in mente
Exor ha avviato una strategia di riconversione e vuole puntare sul lusso, il segmento che garantisce i margini migliori
John Elkann pronto a vendere Repubblica e le altre testate del gruppo Gedi
Che cosa vuole fare John Elkann con l’editoria? È la domanda che rimbalza da qualche settimana sui tavoli di molti analisti. Da una parte, in occasione del ventennale della morte dell’Avvocato – suo nonno – il gran capo di Exor si è prodotto in un’elegia della stampa, difendendo la bontà dell’investimento in Gedi. La holding fondata da Carlo Caracciolo e poi rilevata da Carlo De Benedetti è stata acquistata per 102,4 milioni di euro, con un’operazione completata nel primo quadrimestre del 2020.
Un’idea che voleva riportare l’editoria al centro degli affari di Elkann e della sua holding. Dopo l’Economist, dopo la fedelissima Stampa, dopo Il Secolo XIX improvvisamente si aggiungevano nella faretra del nipote preferito dell’avvocato altre testate nazionali e locali, con in testa Repubblica e il mitologico Espresso. Durante un’intervista di Maurizio Molinari allo stesso Elkann il direttore del quotidiano di Largo Fochetti chiedeva se ci fosse qualcosa di vero nella possibile vendita di Repubblica.
E il numero uno di Exor, quasi sdegnato, rispondeva di no, che si trattava di “voci che mirano a generare instabilità. Repubblica è parte integrante di Gedi, e sta andando bene: ormai da mesi supera il principale concorrente, il Corriere della Sera, per numero di utenti unici. Gedi è una bellissima organizzazione editoriale che mette insieme informazione e intrattenimento puntando sull’innovazione: OnePodcast a un anno dal lancio è il numero 1 nell’audio digitale e l’ultimo arrivo, Stardust, è leader nei social con un enorme potenziale. Forti del nostro passato, stiamo costruendo il nostro futuro: il successo di Limes conferma che se un editore dà a un giornalismo di talento la libertà di esprimersi e di manifestare la sua opinione, la sfida si può vincere”.
Insomma, sembrava una pietra tombale. E invece nella testa di Elkann qualcosa si stava già muovendo se è vero, come testimonia lo sciopero indetto dai giornalisti, che è oggi pronto a vendere qualsiasi testata, dopo aver ceduto a Danilo Iervolino l’Espresso. Lo stesso imprenditore campano era pronto a rilevare Repubblica, dicono i rumor, ma l’accordo sarebbe saltato per colpa dell’eccessivo potere della redazione del giornale.
La nuova strategia di Exor
Che cosa è cambiato? Davvero un imprenditore come Elkann, con un cognome così “pesante”, ha pensato che potesse impedire l’inevitabile calo delle copie vendute? Perché ormai Repubblica è stabilmente sotto le 100mila copie e ogni mese si gioca il secondo posto dietro al Corriere con l’agguerrito Sole 24 Ore. Dunque: davvero Elkann non aveva qualcuno che gli spiegasse che cosa stava succedendo nel nostro Paese? Anche perché con il vento politico progressivamente mutato fino a conferire il 30% dei voti a Fratelli d’Italia, il tono e il pubblico di Repubblica rischiava di diventare sempre più marginale. Non sarà piuttosto che Elkann, che da tempo ha avviato una profonda riconversione delle partecipazioni del gruppo, avesse bisogno di “accomodare” alcune voci che potevano essergli ostili come L’Espresso e, appunto, Repubblica?
La storia d’altronde è piuttosto nota. Exor e Cnh Industrial sono stati quotati anche alla Borsa di Milano prima di migrare verso l’Olanda. Ma la famiglia Agnelli-Elkann, che di Exor rimane il fulcro, non è esattamente una famiglia qualsiasi e, dal Dopoguerra in poi, ha legato indissolubilmente il suo nome a quello del nostro Paese. Gli incentivi realizzati dal governo Prodi alla fine degli anni ’90 furono fatti per permettere alla Fiat di rimanere in piedi. E il legame a doppio filo è rimasto, tant’è che Fca – prima di trasformarsi in Stellantis – ha beneficiato di oltre 6 miliardi di euro di aiuti durante la pandemia. Insomma, non si può pensare che si muova in totale autonomia.
Né, però, si può immaginare che vicende così importanti per il nostro Paese non diventino oggetto di parecchie critiche. Ed è quindi meglio riuscire ad avere una parte della stampa – tradizionalmente avversa – dalla propria parte. Per quanto riguarda i conti, d’altronde, la situazione è molto complessa: nei primi 6 mesi di quest’anno, Exor racconta che Gedi ha avuto perdite dalle attività operative per 22 milioni di euro, il doppio rispetto al passivo di 12 mesi prima. Il fatturato semestrale è sceso di altri 10 milioni dai 248 del 2021 ai 238 di giugno scorso.
Exor e il nuovo polo del lusso
Ma c’è molto di più. Da tempo Exor sta iniziando una progressiva dismissione di asset ritenuti non strategici. È il caso di Marelli o di PartnerRe, che hanno permesso ai soci di incassare lucrose plusvalenze. In molti ritengono che la famiglia Agnelli stia iniziando a guardarsi intorno anche per capire che cosa fare della propria partecipazione in Stellantis. Attualmente Exor è il primo azionista dell’azienda nata dalla fusione tra Fca e Psa. Ma i pesi sono sbilanciati verso i francesi: il ceo Carlo Tavares è espressione di Psa e il board si compone di undici membri di cui sei sono di emanazione francese. Senza contare che lo stato, attraverso una quota in Psa, è un azionista di peso ed è quindi naturale che faccia sentire il suo peso specifico. Il tutto senza contare le vicissitudini di casa Juve.
Elkann ha un sogno neanche troppo nascosto: fare di Exor una sorta di LVMH (o Kering) e competere nel mercato del lusso. Il motivo non è neanche difficile da comprendere. Il segmento è stato il primo a ripartire dopo la pandemia, sostanzialmente non conosce crisi perché si rivolge a una platea di top spender che non temono aumenti dei prezzi, malattie, guerre o crisi economiche. Secondo Deloitte Il fatturato generato nel 2021 dalle vendite dei beni di lusso dei primi 100 gruppi mondiali è stato pari a 305 miliardi di dollari, 53 miliardi in più del 2020 e 24 miliardi oltre i livelli pre pandemia Covid,rispetto a cui la crescita è dell'8,5%. A tassi di cambio costanti, i primi 100 player hanno complessivamente visto una crescita del 21,5% con un profit margin del 12,2%.
Non è dunque difficile capire perché la holding della famiglia Agnelli detiene già una partecipazione in Louboutin, mitologico marchio di calzature francese: ha investito 541 milioni a marzo per una quota del 24% e la possibilità di collocare due membri (su sette) del cda; e ne ha una anche in Shang Xia, griffe cinese che conta tra gli azionisti anche Hermes, per il cui 77% ha investito 80 milioni.
Tornando ai media: l’impressione è che Elkann si aspettasse, da un lato, che la “presa” di alcuni prodotti fosse decisamente maggiore sull’opinione pubblica. Dall’altro ha anche capito che si tratta di un business poco futuribile da cui è meglio uscire rapidamente, per potersi concentrare su altro. Curioso, però, che abbia scelto di smantellare – in via ufficiale – le testate locali, che rimangono quelle con la maggior platea di “aficionados”. La riconversione del gruppo Exor è ormai avviata.
La replica di Gedi: "Non siamo tutti in vendita"
Gedi ha tenuto a precisare che "non siamo “tutti in vendita”. L’editore si dissocia dall’interpretazione capziosa che il coordinamento dei CdR del Gruppo ha voluto dare alle risposte date in occasione dell’incontro odierno. Affermazioni come quelle contenute nel comunicato pubblicato sono inutilmente allarmiste, contrarie alla verità e ingenerose rispetto ai numerosi progetti innovativi realizzati negli ultimi anni, in tutte le aree del Gruppo, che hanno sempre al centro la qualità del lavoro giornalistico e la professionalità di chi scrive per le nostre testate".
"Fatti concreti che hanno reso Gedi non solo leader italiano nel digitale, sui social, nei podcast e negli eventi tematici sul territorio, ma anche protagonista nel comparto della stampa tradizionale, come dimostrano i successi di Limes e del settimanale D, a cui si aggiunge il prossimo lancio di Door, per citare alcuni esempi. Gedi assicura la prosecuzione della sua strategia di sviluppo, volta a rafforzare il Gruppo attraverso iniziative ambiziose e lungimiranti", ha concluso l’editore.