M&A, confusione sui dati del 2023. In aumento o in calo? Numeri a confronto

Per PwC il numero delle operazioni è cresciuto a 680 (+13,5%)

di Redazione Economia
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Per EY e KPMG è diminuito (-14%). Ma tutti segnalano un grande attivismo dei private equity

Aumentano in termini di numeri le operazioni di m&a in Italia nei primi 5 mesi dell’anno (+13,5%) rispetto allo stesso periodo del 2022, grazie al tessuto industriale italiano, composto principalmente da aziende di middle market, alla presenza di fondi di private equity di dimensioni medie focalizzati sul mercato locale e alle opportunità di aggregazione e consolidamento.

Lo dice PwC nell’aggiornamento di metà anno dello studio PwC Global and Italian M&A Trends (scrive Alessandro Albano su bebeez.it), che mostra anche che su un totale di 680 operazioni mappate da Refinitiv e analizzate da PwC, i settori a maggior crescita sono Consumer (+37%), Technology Media Telecommunication (+26%) e Industrial manufacturing&automotive (+17%), ma tutti i settori hanno registrato un incremento a doppia cifra, a eccezione del comparto Health Industries (-9.8%) e Financial Services (-27%).

In particolare, nel settore Consumer si è registrato un balzo dei volumi con 166 deal, in aumento come detto del 37,2% (si veda qui il comunicato stampa). A livello di volumi, il segmento più ricco di operazioni è stato il Food & Beverage con 48 deal annunciati (tra cui Red Circle / Poke House, CDP / Granarolo), seguito da Specialty Retail (31 operazioni, tra cui HIG / Pinalli, Verteq / Epilate) e Fashion (28 operazioni, tra cui San Quirico / Minerva Hub, Permira / Gruppo Florence, NB Reinassance & Style Capital / U-Power).

Bene si diceva anche il settore industrial manufacturing&automotive, con 189 operazioni, in aumento del 17% dai primi 5 mesi del 2022 (si veda qui il comunicato stampa), trainato dal settore Aerospace & Defence che è passato da una sola operazione nei primi 5 mesi del 2022 a 11 operazioni nei primi 5 mesi del 2023 e con tutti gli altri settori del IM&A che mostrano una crescita positiva a livello di volumi (+45% Automotive, +15% Manufacturing, +6% Business Services), tranne Engineering & Construction (- 8%) che risulta in sofferenza anche in Italia, seppur in modo meno marcato rispetto al mercato mondiale (-23%). A livello di volumi, il settore manifatturiero continua a dominare il mercato M&A italiano con 84 deal nei primi mesi del 2023, seguito dal comparto Business Services (56 operazioni).

I numeri italiani di PwC per l’m&a nella prima parte dell’anno risultano non solo in controtendenza rispetto a quelli mondiali, dove si è registrato un calo nei primi 5 mesi del 2023 del 13% in termini di volumi e del 44% per valore, ma anche rispetto a quelli pubblicati nei giorni scorsi da EY e KPMG, che indicano un calo marcato nel valore delle operazioni e una diminuzione più contenuta in termini di numero. Il tutto però con un contributo importante da parte degli operatori di private equity che hanno lavorato molto sul fronte degli add-on e quindi su aziende di piccole e medie dimensioni, con la conseguenza quindi che l’attività si è mantenuta a un ritmo ancora abbastanza elevato almeno sul fronte del numero di deal. Un concetto, questo, che emerge anche dal report di PwC, che ha mappato operazioni annunciate in Italia da fondi di private equity in aumento del 21,6%, sottolineando comunque a sua volta che mancano deal di grandi dimensioni, più difficili da finanziare.

Ricordiamo, invece, che KPMG nei giorni scorsi ha calcolato un calo del 14% nel numero delle operazioni di m&a in Italia a quota 555 nel primo semestre del 2023 dalle 648 del primo semestre 2022 e un crollo di oltre il 62% nel valore, poco sopra i 13 miliardi dai 35 miliardi di un anno prima (si veda altro articolo di BeBeez). Mentre EY da parte sua nel suo ultimo EY M&A Barometer ha contato 531 operazioni per un controvalore di 25 miliardi di euro, in calo, rispettivamente, del 14% da 619 deal e del 25% da 33,6 miliardi (si vedano qui il comunicato stampa e qui l’intero report di EY). Interessante notare però che EY ha mappato comunque operazioni di m&a condotte da società italiane su target estere per un valore in crescita di ben il 47% rispetto al primo semestre 2022 a quota 9,1 miliardi da 6,2 miliardi, sebbene in termini di numero si sia passati a 111 dalle precedenti 136.

E se KPMG ha genericamente sottolineato che  gli operatori di private equity hanno avuto un ruolo importante, continuando a supportare nel percorso di crescita per linee esterne le proprie portfolio company, nonostante l’incremento del costo del denaro, più che raddoppiato nel giro degli ultimi 12 mesi, EY ha precisato che del totale di 25 miliardi di euro di deal ben 20,7 miliardi sono relativi a operazioni di private equity, inclusi i fondi infrastrutturali, e che i deal in questione sono stati 221, quindi poco meno della metà del totale mappato. Numeri che evidenziano un leggero calo in termini di volume (da 234 deal) e un leggero aumento in termini di valore (da 19,5 miliardi di euro) rispetto al primo semestre 2022.

A questo proposito, sottolineiamo che i dati di EY sono in linea con le anticipazioni di BeBeez. Ricordiamo che BeBeez Private Data da inizio anno e sino a fine maggio aveva mappato 212 operazioni di private equity in Italia, così come raccontato nel Report di BeBeez Private Equity 5 mesi 2023 (pubblicato lo scorso giugno e disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium e BeBeez Private Data). Una cifra che si colloca poco sotto alla metà di quella dell’intero 2022 e che quindi in proporzione potrebbe portare il 2023 a chiudere poco sotto il dato dell’anno scorso, quando l’attività di private equity in Italia si è mantenuta piuttosto calda, con ben 549 operazioni complessive (si veda qui il Report di BeBeez Private Equity 2022), cioè il 9% in più rispetto alle 497 mappate a fine 2021 (si veda qui il Report di BeBeez Private Equity 2021). Quanto al valore delle operazioni, sono state quattro quelle su aziende con enterprise value di almeno 500 milioni di euro,  che hanno avuto per protagoniste aziende italiane e dove a passare di mano è stata la maggioranza del capitale delle società target. Di questi, tre deal hanno riguardato aziende con un EV di almeno un miliardo: WindTre, Isab e Gruppo Florence. Ma ci sono poi altri quattro deal di dimensioni medio-grandi su aziende con EV di almeno 100 milioni dove è passato di mano il controllo.

In sostanza sono però mancati i mega-deal, che sono quelli che trainano le statistiche. KPMG aveva mappato soltanto tre di valore superiore a un miliardo di euro: l’integrazione tra Dufry e Autogrill (da cui nascerà il leader mondiale della ristorazione per chi viaggia, con una forte presenza negli Stati Uniti, in Europa e una base significativa nei mercati asiatici) per un controvalore di 2,4 miliardi di euro; l’acquisizione della società irlandese quotata al NYSE Amryt Pharma da parte di Chiesi Farmaceutici per 1,4 miliardi di euro (si veda altro articolo di BeBeez) e l’acquisizione di Centrotec Climate Systems da parte di Ariston Holding con un investimento di circa un miliardo di euro, la più grande nella storia del gruppo. EY da parte sua ne ha contate 4 (peraltro tutte diverse da quelle considerate da KPMG) rispetto alle 9 annunciate nello stesso periodo del 2022, considerando WindTre, Isab e Gruppo Florence, ma anche l’operazione in corso nella NetCo di TIM (che BeBeez e KPMG non hanno considerato, visto che KKR è stato ammesso a trattative esclusive, ma il successo del deal non è ancora scontato, si veda altro articolo di BeBeez).

Indipendentemente dal metodo di mappatura dei deal, che è la ragione delle divergenze tra i numeri che emergono dai diversi report, quello che conta è il trend. E tornando all’attività dei private equity, Marco Daviddi, Strategy & Transactions Managing Partner di EY in Italia, ha commentato: “I fondi di private equity consolidano la loro presenza sul mercato italiano, anche se con un atteggiamento più prudente, che si concretizza in una dimensione media dei deal più contenuta, per diluire il rischio e per la pressione sulle valutazioni, penalizzate dall’incremento dei tassi di interesse che ha reso il financing delle operazioni più oneroso. Nel primo semestre specialmente i fondi con radicata presenza in Italia hanno continuato ad alimentare il flusso di investimenti, mentre i grandi fondi globali hanno avuto un atteggiamento più prudente. Ma ci aspettiamo un secondo semestre in cui questi torneranno protagonisti. I fondi sono ormai percepiti da aziende e imprenditori italiani come volano di crescita, in particolare sui mercati esteri, oltre che uno strumento per rafforzare la capacità di investimento e gestire il passaggio generazionale”.

E ha aggiunto Daviddi, che lo scenario geopolitico e una politica monetaria restrittiva stanno determinando “un allungamento dei tempi dei processi m&a e una focalizzazione su operazioni di dimensione più contenuta, al fine di limitare i rischi finanziari e operativi”. Tuttavia, diversi elementi suggeriscono che “il mercato m&a in Italia possa comunque registrare un livello d’attività sostenuto, seppur inferiore rispetto ai numeri record registrati nel 2021 e nel 2022”. E questo perché “rimane abbondante la liquidità già raccolta da investire e le imprese hanno molto chiaro che l’utilizzo della leva transazionale può essere un rilevante acceleratore dei processi di trasformazione necessari a mantenere competitività, anche tenendo conto delle tensioni commerciali sempre più accentuate tra Ovest ed Est del globo, che richiedono veloci revisioni dei mercati in cui operare. Il PNRR rimane una straordinaria opportunità di supportare il processo di modernizzazione del nostro Paese, in particolare su tematiche specifiche, quali la trasformazione digitale, l’innovazione e la transizione energetica, specie se saprà sfruttare un effetto leva attraverso progetti in grado di coinvolgere aziende e fondi, favorendo la dinamica di investimento privato”.

E sulla stessa linea Max Lehmann, Strategy & Value Creation, IM&A Deals Leader, Partner PwC Italia, ha commentato: “Il focus di molti player industriali e anche dei fondi con aziende manifatturiere in portafoglio è tornato a essere concentrato sulla valutazione di possibili sinergie da integrazione e sulla individuazione di opportunità di value creation da implementare nel post deal attraverso azioni e programmi di integrazione più invasivi rispetto agli anni precedenti, caratterizzati da multipli in crescita e una maggiore propensione a fare operazioni di m&a, lasciando le target con elevato grado di indipendenza. In questo contesto ci attendiamo un ulteriore step nei processi di disinvestimento di asset considerati non-core, con molteplici processi di carve-out in fase di avvio.”

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