Cronache

“L’emoji col pollice in su? Può valere come firma”. Intervista all'esperto

di Eleonora Perego

Affari ha interpellato Micael Montinari, avvocato esperto nei settori Digital, Media & Technology, per capire come sta evolvendo il mondo dei contratti

Contratti: “L’emoji 'pollice in su'? Può valere come firma”. Ecco perchè

Un “pollice in su” sotto forma di emoji; quanto basta per considerare stipulato un contratto. È quello che è successo in Canada a Chris Achter, un agricoltore che ha risposto con questo simbolo a un contratto di fornitura ricevuto in chat da una cooperativa. Una risposta che è stata considerata vincolante dal punto di vista legale.

La sentenza canadese, però, è tutt’altra che lontana dall’ordinamento italiano, e ha già suscitato la reazione indignata del web di molti utenti, preoccupati di rimanere legati a contratti più o meno inconsapevolmente, magari apponendo ingenuamente un “pollice in su”. Affaritaliani.it ha interpellato Micael Montinari, partner di Portolano Cavallo, studio legale specializzato nei settori Digital, Media & Technology, Life Sciences-Healthcare e Digital Transformation, per capire quanto quello canadese possa valere come “precedente” in Italia.

Avvocato, anche in Italia l’emoji “pollice in su” può vincolare a un contratto?

Bisogna partire da una premessa: il nostro ordinamento prevede dei contratti che per la loro valida sottoscrizione non hanno bisogno della forma scritta. Anzi, questo vale per la maggior parte di contratti commerciali che si possono concludere normalmente, come i contratti di fornitura.

Come del resto ci sono già casi in cui la manifestazione del consenso attraverso comportamenti concludenti, che fanno presumere che si sia accettato un contratto. Queste due premesse costituiscono già una base per poter dire che, nel nostro ordinamento, potrebbero verificarsi casi simili a quello canadese.

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