Maria Cecilia Guerra: "Rdc da ridisegnare. Cruciale ridurre il cuneo fiscale"

Intervista di Affari alla sottosegretaria al Mef Guerra sul report Ocse e le riforme del Governo: "Sulle imposte patrimoniali arrivare a distribuzione più equa"

di Paola Alagia
Maria Cecilia Guerra
Economia
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Giudizio in chiaroscuro da parte dell’Ocse sul Reddito di cittadinanza che inevitabilmente rende ancora più accese le tifoserie sulla misura tra detrattori e sostenitori. Affaritaliani.it ne ha parlato con l’economista e sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra (Leu) che mette subito in chiaro: “L’Ocse innanzitutto ha riconosciuto la funzione svolta dal Rdc nel sostenere i redditi e le imprese e nel rendere più facile la ripresa. Dopodiché – e lo dico in generale guardando al dibattitto politico -, mi sembra un esercizio privo di significato pensare di valutare la capacità di trovare lavoro nel periodo della pandemia e cioè in una fase in cui di posti di lavoro se ne sono persi centinaia di migliaia”. Sulle pensioni, invece, la posizione della sottosegretaria all’Economia è più lontana dall’Ocse perché “favorevole a strumenti di flessibilità”. Ma l’Organizzazione parigina spinge anche sul tasto delle tasse sul lavoro da tagliare. Per Guerra è pacifico che il tema della riduzione dell’onere sul lavoro sia “cruciale”. Al tempo stesso, tuttavia, osserva: “L’Ocse però non si limita a dire questo. Ci dice pure meno tax expenditures, più tasse patrimoniali, più tasse sul consumo. Aspetti che, invece, mi sembra siano stati un po’ trascurati nei resoconti”.

 

Sottosegretaria, partiamo dal Rdc. Alla luce del resoconto Ocse, lei vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
Dico semplicemente che per esaminare istituti come il Reddito di cittadinanza occorre distinguere tra la situazione pandemica e quella a regime. Durante l’emergenza è stato uno strumento indispensabile che abbiamo dovuto affiancare ad altri, penso alla cassa integrazione e a quella in deroga o alle indennità per esempio agli stagionali, ai professionisti e alle partite Iva. Così come abbiamo istituito anche il Reddito di emergenza. La stessa Ocse ci riconosce che il Rdc ha avuto una funzione nel sostenere i redditi e le imprese. Dopodiché è sbagliato pensare al Reddito come strumento prevalentemente di politica attiva del lavoro. E qui c’è stato pure un errore dei promotori nel presentarlo così.

Come lo definirebbe?
Il Reddito di cittadinanza è una rete di ultima istanza per i nuclei familiari che si trovino in povertà assoluta, è una misura temporanea che può essere confermata se una data situazione perdurasse. Nel Reddito di inclusione che partiva da una sperimentazione che avevo avviato quando ero al ministero del Lavoro, la ratio era proprio la presa in carico dei nuclei familiari in momenti di difficoltà, per verificare tutti gli interventi di cui avessero bisogno, non solo economici. E’ chiaro che una rete universale, che tra l’altro c’è in tutti i Paesi europei, serva. Però, il Rdc va ridisegnato.

In che modo?
Va fatto un ragionamento articolato che tenga conto del fatto che molti percettori non sono persone che possono essere mandate a lavorare o perché lavorano già o perché si è di fronte a nuclei familiari in cui nessuno è attivabile. Bisogna tenere in considerazione, dunque, anziani e persone con disabilità. E poi le donne che sono dedite al lavoro di cura. Per i soggetti che sono invece attivabili, l’obiettivo deve essere far sì che siano messi nella possibilità di riprendere a lavorare, è una scommessa sulla loro vita e, in generale, una scommessa di inclusione sociale.

Nella sua ottica gli stranieri residenti in Italia dovrebbero entrare a far parte della platea dei percettori?
Senza dubbio. Questo è uno dei due aspetti della legge che mi ha fatto molto indignare. Ho infatti criticato la misura proprio perché ritengo scandaloso che non si riconosca il Rdc agli stranieri residenti se non dopo 10 anni di permanenza. E’ una disposizione contro la nostra Costituzione e contro le leggi europee.

E il secondo aspetto?
Ritengo si sia compresso molto il peso riconosciuto ai figli. Le famiglie numerose sono quelle più penalizzate. E’ un paradosso, per un Paese come il nostro in cui la povertà minorile è molto accentuata, dare maggior peso ai nuclei dove non ci sono minori.

Rdc o meno, il problema delle politiche attive resta ed è una riforma su cui il Governo è impegnato.
Premesso che gran parte dei problemi del mercato del lavoro è imputabile a squilibri territoriali e a carenza di investimenti e di servizi, il Governo sta lavorando per stabilire dei livelli essenziali di politiche attive omogenee su tutto il territorio nazionale, puntando sulle interconnessioni tra banche dati per incrociare domanda e offerta, ma anche e soprattutto sulla formazione che deve essere mirata sui diversi segmenti di popolazione che cerca lavoro.

Passiamo alla riforma delle pensioni. A sentire l’Ocse bisognerebbe abbandonare forme di flessibilità come Opzione donna e Quota 100.
Il discorso che fa l’Ocse su Opzione donna è legato soprattutto all’effetto della penalizzazione degli assegni pensionistici.

E Quota 100?
Credo che un superamento sia necessario. Anche perché, come emerso dai dati del monitoraggio Inps, è una misura che ha favorito prevalentemente la popolazione maschile, il pubblico impiego e soggetti ad alto reddito. Siamo di fronte a una ingiustizia. In linea generale ritengo che occorra ragionare su due profili: recuperare forme di flessibilità e, guardando soprattutto a donne e giovani, riconoscere una contribuzione figurativa che dia peso ai periodi di formazione e cura. Così si potrà arrivare a una carriera pensionistica completa per persone - donne e giovani in particolare - che, ricordiamolo, comunque sono attive.

L’Ocse però sulla flessibilità non la pensa così.
Mi distinguo dalle posizioni dell’Ocse proprio perché resto favorevole a strumenti flessibilità, ovviamente con attenzione ai costi complessivi della riforma sul bilancio pubblico.

Cosa pensa invece dell’indicazione dell’Organizzazione parigina circa le tasse sul lavoro da tagliare?
Il vero punto è che il peso più grosso è dato dai contributi. Comunque, anche nell’ambito della riforma fiscale, il tema della riduzione dell’onere sul lavoro è cruciale. L’Ocse lo dice ma parla anche, in termini di equità fiscale, di meno tax expenditures, tasse patrimoniali più eque e più tasse sul consumo, nel senso di riduzione dell’evasione sull’Iva che è appunto l’imposta che grava sui consumi. Mi sembra, però, che questi aspetti siano stati un po’ trascurati nei resoconti.

In realtà, lo stesso Governo di cui fa parte ha escluso ipotesi di patrimoniali. Non è così?
Sulle imposte patrimoniali io penso che senza aumentare l’onere si possa e si debba, a parità di gettito, arrivare a una distribuzione più equa. Comunque, il Governo ha dato indicazioni precise nella direzione della lotta all’evasione fiscale proprio con l’intento di redistribuire meglio il peso del fisco.

Al di là delle riforme in cantiere, c’è un problema che il Governo dovrebbe affrontare con una certa tempestività e cioè quello dei lavoratori in quarantena che rischiano di restare senza stipendio e contributi. Il fondo piange, dal momento che non è stato rifinanziato. Che rassicurazioni può dare?
C’è l’intenzione di affrontare tale problema. Penso sia stato un grave errore non averlo ancora fatto. Per il 2020 non c’è disponibilità liquida perché tutti i fondi li abbiamo impegnati. Adesso stiamo valutando se dal monitoraggio degli interventi finanziati si generano dei risparmi per coprire questa misura. Sicuramente, poi, dei finanziamenti per il 2021 ci saranno in legge di Bilancio.