"Mercati disorientati dalla strategia Bce: ora serve lo scudo anti-spread"
Il co-responsabile del Research Team di Equita Luigi De Bellis ad Affari: "Nervi saldi e nessun panic selling, ma bisogna intervenire"
Intervista a Luigi De Bellis (Equita)
“La combinazione di un’inflazione superiore alle attese, fine degli acquisti del QE, aumento tassi e rallentamento della crescita ha sorpreso i mercati”. Luigi de Bellis, co-responsabile del Research Team di Equita, spiega ad Affaritaliani.it perché in questi ultimi giorni i mercati hanno iniziato a chiedere un conto piuttosto salato all’Italia sia per quanto concerne lo spread, sia per quello che riguarda il Ftse Mib, tornato ai minimi da marzo di quest’anno.
De Bellis, dobbiamo aspettarci ulteriori interventi della Bce per uno “scudo anti-spread”?
I mercati si aspettano che la Banca Centrale Europea faccia qualcosa, ma anche l’Italia deve accelerare la crescita economica spingendo sulle risorse del PNRR. L’Italia è vulnerabile, ha un rapporto tra debito e pil superiore al 150% e l’impatto sull’economia causato dallo shock inflattivo è particolarmente forte data la dipendenza dall’approvvigionamento dalla Russia, senza dimenticare il rafforzamento del dollaro che rende più costosi i nostri acquisti. Per questo sarebbe importante un tetto europeo al prezzo del gas. E poi non dimentichiamo che nel 2023 ci saranno le elezioni politiche e si teme che ci possa essere ulteriore instabilità.
Dobbiamo preoccuparci?
È prematuro, anche perché, a fronte di uno scenario macroeconomico che è peggiorato, bisogna sapere che il nostro debito pubblico ha una durata media intorno ai sette anni, con un importante quota tasso fisso. Il che limita l’impatto degli incrementi degli spread sulla finanza pubblica.
Il consigliere economico di Draghi, Francesco Giavazzi, ha detto che la Bce ha sbagliato strumenti. Concorda?
Fa male il combinato disposto tra fine del quantitative easing e aumento dei tassi. A questo si unisce il rallentamento della crescita e l’avvio a breve della campagna elettorale. Si tratta di una combinazione di tutti questi elementi insieme. Probabilmente la mossa più corretta sarebbe stata quella di agire su una sola leva alla volta. Il mercato tra l’altro è rimasto colpito dalle aspettative d’inflazione al 2024 in crescita di 40 punti base al 2,4%, con contemporanea riduzione di 100 punti base (cioè l’1%, ndr) del pil. Si tratta di una vera anomalia economica.
Che stime avete per il 2022? Rischiamo una recessione?
Siamo intorno a +2,8% per quest’anno e +2,3% per l’anno prossimo, abbiamo già lasciato sul campo quasi l’1,5%. Una recessione non è il nostro scenario base, ma è ovvio che tutto dipende dalla durata della guerra tra Russia e Ucraina e dalla capacità dell’Italia di attivare le leve del PNRR. Se dovesse protrarsi fino alla fine dell’anno sarebbe un vero problema. Non è più sostenibile un prezzo del petrolio a 120 dollari al barile e prezzi dell’energia così alti, il governo può anche metterci una pezza di volta in volta ma è ovvio che serve una svolta anche in Cina, dove si alternano lockdown a periodi di ripresa.
Detta in maniera brutale: ma se la guerra finisse domattina, risolveremmo tutti i nostri problemi?
No, ovviamente. Si tratterebbe di un processo graduale anche perché le sanzioni non scomparirebbero immediatamente. Ci vorrebbe del tempo perché permangono diversi colli di bottiglia. Però certo che se si passa dall’8 al 4% d’inflazione, oltretutto dovuta alla domanda e non dall’offerta, allora naturalmente si avrebbero diversi benefici. E poi non dimentichiamo che le banche centrali stavano già cercando un’inflazione lievemente superiore al 2% per riportare i debiti pubblici in una traiettoria più sostenibile.
Quindi che tempi si aspetta?
Difficilissimo dirlo oggi, la strategia delle banche centrali sembra puntare verso uno shock rapido per riportare le aspettative d’inflazione su livelli più ragionevoli.
Che cosa succede adesso?
Succede che i mercati hanno bisogno di essere rassicurati. Vogliono un’azione mirata della Bce o della Fed. Perché anche negli Usa siamo in una situazione simile (nonostante un’inflazione guidata principalmente da eccesso di domanda mentre in Europa da minore offerta), e mercati cercano delle indicazioni meno “hawkish”. Quel momento si sta avvicinando, perché gli Usa hanno un deficit elevato e dovranno fare nuovo debito, con tassi più alti. Per questo dovranno trovare un compromesso, altrimenti rischiano di dover pagare molto il nuovo debito e, al tempo stesso, di avere una significativa frenata economica. Al momento le iniziative delle banche centrali non sono piaciute, vediamo nei prossimi giorni.
Come stanno le aziende quotate italiane?
Bene, e meglio di tante altre crisi economiche che abbiamo visto. Hanno un livello di indebitamento tutto sommato gestibile e anche le banche sono più patrimonializzate, non hanno troppe criticità. È una questione di tempo, non si può andare avanti con una situazione d’inflazione così alta e rischio di una forte frenata economica.
Che cosa suggerisce agli investitori?
In una fase di mercato come questa, tenere i nervi saldi è la soluzione migliore, evitare di prendere delle scelte istintive, sicuramente posizionarsi sulle società molto solide, finanziariamente, è la scelta più corretta perché finite queste bufere queste aziende ne usciranno ancora più forti, bisogna essere più selettivi e posizionarsi su quelle che noi definiamo le “Italian Champions”.