Ortofrutta di marca a prezzi stracciati, lo strano caso dei mercati rionali

Quando un operatore della Gdo rimanda indietro un prodotto ortofrutticolo deteriorato, questo reso va ad alimentare un altro mercato, quello rionale

Economia
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Mercati rionali, frutta e verdura brandizzata svenduta: quando il marchio non è più sinonimo di qualità

Trovare frutta e verdura di “marca” nei mercati rionali ormai non più così raro. Infatti, capita sempre più spesso di imbattersi in alimenti brandizzati, ormai arrivati a fine vita e con la shelf-life agli sgoccioli se non oltre, all’interno dei mercati. E questi prodotti sono quasi sempre letteralmente svenduti. Infatti, dalle banane ai meloni, passando per le mele e le arance, si possono trovare questi prodotti a 1 euro o addirittura 50 centesimi al kg.

Ma perché mai un fornitore dovrebbe fare tanta fatica per costruire il proprio brand, investire tempo e risorse nello sviluppare un prodotto di qualità, per poi svilirlo in questo modo. Come riporta Italiafruit.net, la spiegazione di diversi operatori, sarebbe questa: quella merce di “marca” venduta a quotazioni stracciate è da considerarsi di seconda mano.

Inizialmente destinata alla distribuzione moderna, qualche piattaforma della grande distribuzione organizzata (supermercati, negozi alimentari, etc...) l'ha rispedita al mittente e il reso viene così “smaltito” in questo canale commerciale più “popolare”. Oppure, può arrivare dal grossista con merce in esubero che, per le più svariate ragioni, la svende ai dettaglianti senza nemmeno farlo sapere al produttore.

Ortofrutta di marca svenduta nei mercati rionali, quando il marchio non è più sinonimo di qualità

In Italia, dunque, pare funzioni in questo modo: una partita di merce respinta da un distributore per mancanza di parametri qualitativi, finirà potenzialmente in un altro canale di vendita dove però le precedenti rimostranze su sapore, colore o grado di maturazione non sono più un problema. I resi di un canale, quindi, alimentano il mercato di un altro. Il vero problema, però, è ciò che percepisce il consumatore. Chi si affida, infatti, a un brand (solitamente pagando di più che un prodotto non di “marca”) lo fa perché nutre fiducia nel marchio che, appunto, dovrebbe garantire la qualità.

Ma se poi questa ricercata qualità si rivela scadente, anche se la referenza è stata acquistata a basso costo, il rischio dell'effetto boomerang è dietro l'angolo. Non si tratta di essere schizzinosi davanti a un difetto: se il prodotto è scadente ma è contraddistinto dal brand, la vendita a basso costo non risolve il problema.

La strada sembra chiara, la difesa della marca dovrebbe essere prioritario in questo tipo di “ciclo” di vita di frutta e verdura: sostituire gli imballi, eliminare i bollini, trovare una seconda vita al prodotto senza inquinare il brand dovrebbe essere un must. Perché se nel breve termine si prova a recuperare qualche centesimo, alla lunga i consumatori potrebbero non essere più disponibili a riconoscere valore al marchio. 

 

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