Rete Tim, il tempo stringe: il costo del debito continua a crescere

L'ultimo bond ha una cedola di poco inferiore al 7%, quasi il 2,5% in più del costo medio attuale del debito. E nel 2023 scadono 3,4 miliardi

di Marco Scotti
Henry Kravis, Pietro Labriola, Dario Scannapieco
Economia

Rete Tim, il tempo stringe e il debito è sempre più caro

Mancano 15 giorni al termine fissato da Tim per presentare le offerte relative alla rete. La vicenda si tira avanti da tempo e la soluzione sembra ancora assai lontana dall’arrivare. Le parti sono distanti e nessuno sembra al momento disposto a fare un passo in avanti. Da un lato c’è Vivendi, che è azionista con il 24% dell’azienda, e che non vuol cedere a una cifra inferiore ai 31 miliardi di euro. Tanti? Pochi? È naturale che a Parigi si siano fatti i loro calcoli e non si siano svegliati una mattina stabilendo una cifra.

Va detto, però, che rispetto a quando Arnaud De Puyfontaine annunciò che quella era la valutazione, nel frattempo i tassi sono aumentati in maniera vorticosa e oggi il costo delle operazioni è decisamente più elevato di quello che era anche soltanto 12 mesi fa. Tradotto, è pensabile che si potrebbe limare qualcosa rispetto a questi 31 miliardi. Ma sicuramente per Vivendi non è pensabile accettare i 20 miliardi che propongono Kkr da una parte e Cdp-Macquarie dall’altra.

Il governo, che si era dato come mandato quello di risolvere il tema della rete unica, non riesce a intervenire in maniera netta. Teme che l’Antitrust europeo, visti gli interessi di Cdp sia in Tim che in Open Fiber, possa bloccare tutto. E quindi si limita a una vigilanza stretta ma statica. D’altro canto, l’ex Telecom ha urgenza di vendere. Il piano stilato da Pietro Labriola di scissione della Netco dalla Serviceco prosegue. L’amministratore delegato ha portato sul tavolo del cda due offerte, di valore analogo seppur con un diverso impianto. Ma sa che senza il via libera di Vivendi – che pure formalmente non fa più parte del consiglio di amministrazione – non si va da nessuna parte.

Il timore è quello di un’assemblea che si trasformi in una resa dei conti tra i diversi soggetti in causa. Il presidente Salvatore Rossi che – eufemismo – non va d’accordo con i francesi; Vivendi che vuole far valere il proprio peso azionario e non vuole accettare offerte ritenute “irriguardose”. Insomma, lo scenario è complesso e molto si capirà - quando l’assemblea verrà convocata – in base al tipo di maggioranza che dovrà essere usata per dare il via libera o meno a una o l’altra trattativa.

Ma, si diceva, Tim ha fretta. Ieri sera è stato riaperto il bond con scadenza 15 febbraio 2028, con un rendimento del 6,875% per un controvalore di 400 milioni di euro. Grande successo, certo, ma il problema è semplice: entro il 2023 scadranno 3,4 miliardi di euro di debito e altrettanti lo faranno nel 2024. Attualmente il costo medio del debito per Tim è del 4,4%, aumentarlo di quasi il 2,5% non è banale per dei conti già complessi come quelli dell’ex-Telecom. Ipotizzando che tutti i 32 miliardi di debito di Tim vengano rifinanziati a questi tassi si avrebbe un extra-costo nell’ordine dei 650 milioni di euro. 

Come uscirne? Qualcuno ha parlato di “take private”, cioè la vendita dell’azienda e il suo delisting. Ma a che prezzi? Non certo quelli con cui attualmente vengono scambiate le azioni. E i costi della nuova finanza sono schizzati alle stelle dopo l’aumento dei tassi varato dalla Bce. Se la trattativa per la rete dovesse fallire, si potrebbe addirittura profilare un aumento di capitale pro-quota. Da quanto? C’è chi sostiene che non si potrebbe scendere sotto i 10 miliardi. Tanti soldi, insomma. 

E quindi si torna alle offerte sul tavolo del board. Kkr ha messo sul piatto 20 miliardi e il fondo, secondo quanto può riferire Affaritaliani.itavendo parlato con fonti qualificate, se avesse accesso all’esclusiva potrebbe aver bisogno di quattro settimane per una due diligence confermativa prima di arrivare alla cosiddetta “binding offer”, l’offerta vincolante che significa avere fisicamente pronti i soldi da destinare all’operazione. 

Ma, si sa, che la preferenza del governo è per la soluzione interna di Cdp-Macquarie. Matteo Salvini – che dopo le elezioni regionali in Friuli ha riguadagnato potere all’interno del governo – la scorsa settimana aveva espresso il suo sostegno per la cordata con Cassa Depositi e Prestiti. “Il mio parere personale – ha detto - è che, siano aeroporti, strade, autostrade, ferrovie o telecomunicazioni, preferisco sempre e comunque un piano industriale a un mero piano finanziario che venga a incassare nel breve termine: qua abbiamo bisogno di un soggetto che nel medio lungo termine investa sulle infrastrutture  e sulla rete di questo paese”.

L’offerta di Cdp, però, non scalda gli entusiasmi di nessuno. Secondo quanto si apprende, circa due miliardi deriverebbero dalla messa in atto di misure eccezionali come voucher, incentivi alla migrazione da rame a fibra che avrebbero bisogno di essere approvati dal Parlamento e passare il vaglio delle rispettive authority. Un passaggio che però potrebbe essere inteso a Bruxelles come aiuto di stato in quanto contribuirebbe significativamente a mantenere una valutazione di Open Fiber artatamente elevato. Tra l’altro, Kkr ha già investito in otto progetti simili in tutto il mondo, mentre la cordata di Cdp sarebbe una “neofita” da questo punto di vista. 

Vivendi, per il momento, non si esprime. L’ultimo sussurro è la lettera inviata al consiglio di amministrazione. Non si hanno ulteriori informazioni sui francesi che però osservano con malcelato scontento l’evolversi della vicenda. Quali scenari si profilano? Tutto è ancora in gioco, ma mancano 15 giorni. Il governo entro il 13 aprile dovrà presentare i nomi per le aziende partecipate. Poi avrà sette giorni per sminare la bomba Tim. Auguri. 

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