Semiconduttori, il nuovo bersaglio dei dazi di Trump: cosa sono e perché il mondo non può (più) farne a meno

Il tycoon ha già annunciato che i dazi sui semiconduttori verranno ufficializzati “nel corso della prossima settimana” e saranno attivi “in un futuro non lontano"

di redazione economia
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Trump minaccia i chip: cosa sono i semiconduttori e perché tutti li vogliono

I semiconduttori non si vedono, ma decidono le guerre del futuro. Sono minuscoli, invisibili all’occhio nudo, eppure valgono più del petrolio. E Donald Trump, che fiuta bene dove soffia il vento del potere, lo sa. Dopo acciaio, alluminio e auto, ora tocca a loro: chip e microchip diventano il nuovo bersaglio della crociata protezionista del presidente americano.

Il tycoon ha già annunciato che i dazi sui semiconduttori verranno ufficializzati “nel corso della prossima settimana” e saranno attivi “in un futuro non lontano”. Tradotto: lo scontro tecnologico con la Cina è tutt’altro che chiuso, anzi, si fa chirurgico. Ma prima di capire quali saranno le conseguenze di questi nuovi dazi è cruciale comprendere che cosa sono davvero questi semiconduttori, e soprattutto perchè sono così importanti.

I semiconduttori sono materiali – come il silicio – la cui capacità di condurre elettricità non è né totale come nei metalli, né nulla come negli isolanti, ma varia a seconda della temperatura o di specifici trattamenti chimici, come il "drogaggio", che consente di regolare il comportamento elettrico del materiale inserendo impurità nel reticolo cristallino. Questa proprietà li rende fondamentali per gestire, amplificare o interrompere il flusso di corrente all'interno dei dispositivi elettronici.

Insomma, stanno nel mezzo, ma proprio per questo sono perfetti per controllare e gestire i segnali elettrici. Sono il tessuto neuronale di ogni dispositivo elettronico moderno. Dentro ogni chip, dentro ogni transistor, c’è un pezzetto di semiconduttore che decide se e quando passa corrente. Ogni CPU (unità di elaborazione centrale) degli smartphone, ogni GPU (unità di elaborazione grafica) delle console, ogni sensore dell’auto elettrica, ogni scheda madre dei pc è fatta di semiconduttori.

Senza semiconduttori non funziona nulla. Non solo i telefonini, ma nemmeno le fabbriche, le auto, i droni, i satelliti. Nemmeno la difesa militare. Nemmeno l’intelligenza artificiale. Quindi sembra scontato intuire perché sono così importanti per Trump – e per il mondo. Controllare oggi i semiconduttori significa avere il telecomando dell’economia globale. Chi li produce, chi ne detiene la tecnologia, chi può bloccarli o rifornirli a comando, ha un potere che va ben oltre le logiche di mercato.

Ecco perché gli Stati Uniti hanno cominciato da tempo a blindare la propria industria dei chip, limitando l’export verso la Cina, sostenendo colossali investimenti domestici (il CHIPS Act di Biden è l’altra faccia della stessa medaglia), e ora lanciando i dazi per proteggere ulteriormente il settore. Trump punta a due obiettivi con una sola mossa: colpire la concorrenza asiatica (e cinese in particolare), e al tempo stesso rafforzare l’industria nazionale dei chip.

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Occhio, però: i dazi sui semiconduttori sono un’arma a doppio taglio. Perché la supply chain dei chip è globalizzata fino al midollo. I wafer si fanno in Giappone, la litografia estrema è olandese, le fonderie sono a Taiwan, l’assemblaggio spesso in Malesia, e i macchinari li producono una manciata di aziende americane, coreane ed europee. Insomma ogni frammentazione politica o commerciale rischia di inceppare una catena già fragile – vedi la crisi dei chip post-Covid – e di danneggiare chi quei chip poi li compra per produrre auto, computer o frigoriferi. Cioè, praticamente chiunque. 

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