Suning sempre più in crisi. Il debito da 30 mld rischia di travolgere l'Inter
Non si ferma il calo in Borsa del gruppo cinese proprietario del club nerazzurro
Negli ultimi cinque giorni il titolo di borsa di Suning ha perso oltre il 14%. Mentre scriviamo le azioni non vengono scambiate per eccesso di ribasso. Dall’inizio dell’anno a oggi il titolo è passato da 7,9 a 5,93 yuan per azione. Perché? C’entra il Covid? Sì, ma solo in maniera marginale. Analizzando i conti del 2020, infatti, si scopre che – è vero – c’è stato un calo del fatturato tra il 3 e il 4%. Ma, al tempo stesso, l’utile è passato dall’essere positivo per 9,8 miliardi di yuan a trasformarsi in un rosso di poco meno di 4 miliardi. Non solo: in via preventiva è stato bloccato il 5,8% del capitale in mano a Zhang Jindong per tutelare il mercato dopo i tracolli degli ultimi giorni.
Inter, il debito monstre da 700 milioni ipoteca ogni velleità degli Zhang Inter, gli sponsor cinesi misteriosi. I ricavi dal Dragone "salvano" i conti |
Ma com’è possibile che un gigante di quelle dimensioni sia oggi a pezzi? Ha provato a fare chiarezza sulla vicenda la testata economica Caixin, con un lungo articolo che ha cercato di farsi largo nella giungla di partecipazioni e di scatole...cinesi che caratterizzano l’azienda che ha come azionista di riferimento Zhang Jindong.
Dunque, secondo la testata cinese, a gravare sulle spalle di Suning c’è un mix potenzialmente letale di acquisizioni poco azzeccate, di pesante indebitamento, e di una costellazione di società che non si sono rivelate esattamente centrali per il business. Perché è bene ricordarlo, sulla carta Suning.com è una rete di negozi di elettrodomestici. Ma nel solo 2020 il gigante dai piedi d’argilla ha dovuto chiudere 900 negozi in tutta la Cina.
Secondo Caixin, un altro problema enorme è rappresentato dal calcio, sotto due diversi punti di vista. Prima di tutto perché nel 2013 è stata acquistata PPTV, il broadcasting network deputato allo sport e al calcio in particolare. Si era negli anni in cui chiunque andasse in Cina veniva ricoperto d’oro. Tanto per fare qualche esempio, Graziano Pellè è arrivato a guadagnare 16 milioni a stagione. Alex Teixeira, proprio dello Jiangsu Suning – onesto mestierante in Europa – si portava a casa 12 milioni, il 50% dei top player del nostro campionato. E i brasiliani Oscar e Hulk avevano trovato a Shanghai l’America, con stipendi da oltre 20 milioni all’anno.
(Segue.: la crisi del gruppo Suning)
Poi però il regime cinese ha detto basta alle spese folli, basta all’acquisto di calciatori stranieri per far diventare il campionato più allettante. Era un’impresa impossibile, tanto che perfino Marcello Lippi, da allenatore della Cina, ha ottenuto risultati mediocri e ha abbandonato il campo. Proprio le squadre di calcio sono state l’altro vulnus enorme di Suning e della famiglia Zhindong. Perché a seguito dei ben noti problemi di bilancio, con un debito che ha superato i 30 miliardi di dollari, il 28 febbraio scorso è stato ceduto il 23% delle azioni della società a due società che fanno capo allo stato cinese e alla città di Shenzhen.
E il primo effetto del nuovo ingresso è stato che lo Jiangsu, la squadra di calcio in cui ha militato anche Eder (proveniente dall’Inter) è stato chiuso dalla sera alla mattina. Nei giorni scorsi gli impianti sono stati definitivamente smantellati, come se ci si fosse affrettati a cancellare qualsiasi traccia del passato.
E veniamo all’Inter, nota dolente per tutti quei tifosi che avevano salutato con entusiasmo l’arrivo dei cinesi in Italia. Un investimento iniziale di 270 milioni per il 69%. Ma il conto è lievitato rapidamente tra investimenti, cartellini dei giocatori, rinnovo dei locali alla Pinetina e nuova sede a Milano. Dopo la vittoria dello scudetto, è apparso chiaro che i cordoni della borsa sarebbero rimasti stretti. Ma a voler essere onesti già il mercato dello scorso anno era stato avaro di soddisfazioni. Dopo annunci roboanti, ci si era limitati a comprare Hakimi, mantenendo però intatta l’ossatura della squadra che si è poi laureata campione d’Italia.
Quest’anno è già stato detto a più riprese: serve realizzare un importante attivo quantificato in almeno 70-80 milioni di euro. Dunque, imbracciando la calcolatrice, è facile immaginare che la quasi certa cessione di Hakimi non basterà a realizzare questa strategia, a meno di non riuscire a tagliare stipendi monstre come quelli di Vidal, Perisic, Young e via dicendo.
Ma attenzione: perché il cileno si aggira sui 6 milioni all’anno per i prossimi due, Perisic andrà in scadenza al termine della stagione, ma non prima di aver messo in banca circa 4,7 milioni. Nel calcio post-Covid queste cifre sono appannaggio di poche squadre e di pochissimi calciatori. Nessuno dei due sopracitati ne fa parte. E dunque facile attendersi che non ci saranno grandi movimenti in uscita.
A meno di non mettere ulteriormente mano all’argenteria di famiglia. Quattro sono i calciatori che hanno davvero mercato: Lukaku, Lautaro, Barella e Bastoni. Ma senza questi quattro (dando già per partito Hakimi) ripetere la vittoria dello scudetto sarebbe impossibile. E sarebbe molto complicato perfino garantirsi un posto in Champions League.
Qui tornano i numeri spietati: per il semplice fatto di prendere parte al torneo dei campioni, l’Inter si metterà in tasca 44,15 milioni quest’anno. Ma se non dovesse riuscire a entrare nel novero delle quattro migliori squadre del campionato? Si creerebbe un circolo vizioso per cui ogni anno bisognerebbe sacrificare i migliori e ripartire con qualche escamotage.
Il debito complessivo della squadra è di circa 700 milioni. Vero che l’ultimo prestito da 275 milioni formalmente non è andato direttamente ad Appiano Gentile ma si è fermato alla holding di Suning, ma è naturale che si dovrà in qualche modo mettere un tappo all’emorragia di liquidità.
(Segue: se davvero le cose per Suning dovessero mettersi male, a rischio c’è anche l’Inter...)
Servirebbe lo stadio, certo, ma l’atteggiamento con cui finora è stato affrontato l’argomento è stato poco accomodante. Il sindaco Sala – vecchio cuore nerazzurro – aveva avanzato perplessità sulla solidità del gruppo Suning. All’epoca era sembrata una mancanza di rispetto e un’invasione di campo. La violenta risposta di Zhang, comunque, era rientrata immediatamente tra i “not-to-do” di un rapporto cordiale con le istituzioni. E visti gli sviluppi economici dell’azienda, forse Sala non aveva tutti i torti.
Attenzione, quindi: perché se davvero le cose per Suning dovessero mettersi male, a rischio c’è anche l’Inter. Altro che seconda stella, qui il pericolo vero è che le stelle, tutte, debbano essere cedute per far cassa.