Parigi dichiara guerra al fast fashion: tassa sui vestiti low cost
Il testo prevede una sanzione pari al 50% del prezzo di vendita al lordo delle imposte per prodotto al fine di tutelare l'ambiente
Fast fashion, Parigi dichiara guerra a H&M, Shein e Zara
Con un voto all’unanimità, l’Assemblea nazionale ha dato un primo via libera a una proposta di legge che regolamenta il 'fast fashion', la moda a basso costo proveniente soprattutto dal mercato cinese, e limita gli eccessi del consumismo a tutela dell’ambiente. La Francia diventa così "il primo Paese al mondo a legiferare per limitare gli eccessi della moda ultraveloce", ha dichiarato il ministro per la Transizione Ecologica, Christophe Béchu. Per diventare legge, la proposta dovrà ora essere esaminata e votata anche dal Senato.
La misura principale della proposta consiste nel rafforzare il sistema di "bonus-malus" nel settore tessile per tenere conto dei costi ambientali. Il testo prevede una sanzione pari al 50% del prezzo di vendita al lordo delle imposte per prodotto.
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Alla fine, entro il 2030, questa potrebbe salire a 10 euro per prodotto. Un emendamento prevede degli incrementi per raggiungere questo prezzo, tra cui un primo incremento di 5 euro nel 2025. Il "bonus-malus" non rappresenta una tassa in quanto il contributo dovrà essere ridistribuito nell'industria dell'abbigliamento, in particolare a favore dei produttori di abbigliamento sostenibile.
L'altra misura chiave contenuta nella proposta di legge è il "divieto di pubblicità per i prodotti e le aziende" coinvolte nella moda effimera, che rientra nella definizione di fast fashion e viene utilizzata per il marketing aggressivo. Nel concreto significherà la fine della pubblicità mirata su Internet e niente più collaborazioni a scopo pubblicitario, in particolare quelle che coinvolgono influencer. I rivenditori saranno inoltre obbligati a pubblicare messaggi che incoraggino il riutilizzo e la riparazione dei prodotti venduti online, sensibilizzando i consumatori sul loro impatto ambientale.
Il principale motivo di preoccupazione sono le pratiche intensive dell'emblematica azienda cinese Shein, che produce in media "7.200 nuovi capi di abbigliamento al giorno". Nel mirino del provvedimento legislativo ci sono le firme del fast fashion, tra cui anche Temu, che offrono prodotti in vendita online a poche decine di euro, supportati da un marketing aggressivo.
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"L'industria tessile è una delle più inquinanti, responsabile il 10% delle emissioni di gas a effetto serra", ha sottolineato l’autrice della legge, Anne-Cécile Violland, deputata dell'Alta Savoia e membro del gruppo Horizons, che ha citato in particolare l'inquinamento delle acque.
Pur avendo votato a favore, il gruppo di ‘Les Républicains’ (destra gollista), ha criticato un articolo specifico della proposta legge, valutando che "se si vieta la pubblicità sui tessuti, e sulla moda in particolare, non ci sarà più la moda", come dichiarato dal deputato Antoine Vermorel-Marques.
Shein ha risposto di essere "disposta a visualizzare un messaggio sulla home page della sua piattaforma", a condizione che lo facciano "tutti i marchi del settore moda, ma anche le aziende di e-commerce che offrono prodotti di moda". La nota firma ritiene tuttavia che la legge proposta "penalizza in modo sproporzionato i consumatori più attenti ai costi".