"Tavares è il Kylian Mbappé dell'automobile", un insulto al mondo ansimante

Quanto è giusto pagare un amministratore delegato o un calciatore? Esiste solo il parametro economico-finanziario cui fare riferimento?

di Marco Scotti
Carlos Tavares e Kylian Mbappè
Economia

Tavares, Mbappè e quegli stipendi che gridano vendetta

“L’avidità è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona” diceva Gordon Gekko arringando una platea di azionisti estasiati dalle sue parole. L’assioma è semplice: il manager deve essere pagato in proporzione ai guadagni che è capace di far realizzare all’azienda che dirige. Ma qual è il limite? È quello che si stanno chiedendo in Stellantis, dove la maxi-retribuzione del ceo Carlos Tavares proprio non viene digerita. Per forza: l’amministratore delegato ha già garantiti 19,1 milioni di euro come emolumenti per la sua – commendevole – gestione della creatura nata dalla fusione tra Fca e Psa. Però ci sono in ballo altri milioni di euro in bonus che potrebbero far lievitare il conquibus a 23,5 milioni all'anno. Soldi che molti azionisti non vorrebbero proprio garantirgli. Tanto per farsi un’idea: lo stipendio medio dei dirigenti delle società quotate all’indice Cac40 è di 5 milioni di euro.

Su Le Monde, che ha pubblicato un articolo sulla vicenda dell'emolumento di Tavares, si fa un passaggio in più. "Tavares è davvero il [Kylian] Mbappé dell'automobile”, ha difeso Geoffroy Roux de Bézieux, presidente di Medef, in un post sul social network LinkedIn. Relativizza i 23,5 milioni di euro paragonandoli ai "630 milioni di euro lordi in tre anni" del calciatore. È un'occasione per avere in Francia il miglior calciatore del mondo. È meno noto, ma siamo anche fortunati ad avere in Francia il miglior capo automobilistico del mondo”, scrive riferendosi al margine operativo di Stellantis, che rivaleggia con quello di Mercedes e supera di gran lunga quello di Volkswagen, il cui capo, Oliver Blume, dovrebbe guadagnare 7,4 milioni di euro per il 2022.

Nell'affaire-Mbappè, però, c'è un dettaglio. La cifra che gli viene garantita, infatti, non è solo fuori mercato, ma che rende i petro-dollari degli emiri l’unica moneta in grado di reggere l’urto di questi calciatori stra-pagati. Per ottenere che cosa in cambio? Nessuna Champions League – anche quest’anno – verrà portata in trionfo sotto la Tour Eiffel. La vittoria del campionato francese, da sola, non vale certo un esborso di questa portata.

Allo stesso modo, è giusto che Tavares guadagni circa 850 volte lo stipendio medio di un operaio in Francia? I risultati economico-finanziari di Stellantis sono in grande crescita, l’utile è a 16,8 miliardi e dunque nessuno può lamentarsi della gestione del manager portoghese. Ma esiste anche una visione etica che sembra definitivamente saltata: quando Paolo Rossi ottenne un contratto da un miliardo di lire dal Milan, le polemiche furono enormi. Allo stesso modo, Adriano Olivetti teorizzò che nessun dirigente doveva guadagnare più di dieci volte rispetto al salario più basso.

Nel 1980 questo rapporto era ancora in un ambito “comprensibile”: 45 stipendi base per farne uno da amministratore delegato. Ora il tappo è saltato definitivamente. Lo stipendio di Tavares non è alto in valore assoluto, ma riporta le lancette al “che mangino brioche” di Marie Antoinette mentre i francesi protestavano per il pane. Ricorda l’eccezionale ritratto dipinto da Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi” per la rivolta al forno in cui viene coinvolto Renzo.

Non si vuole essere populisti, ma giusti. Esiste un’equità che deve essere sempre rispettata in un’epoca in cui la gente muore di fame e il Mediterraneo si riempie dei cadaveri di disperati che cercano un’opportunità in Italia e nell’Europa Meridionale. Non si vuole neanche lanciare proposta bizzarra come quella di costringere Tavares a devolvere parte dei suoi emolumenti ai meno fortunati. Diciamo, però, che una seria riflessione sul 99% della popolazione che arranca dopo il trittico terribile Covid-aumento delle materie prime-guerra tra Russia e Ucraina, deve essere affrontata. In maniera laica, senza preconcetti. Ma il modello di società che stiamo propugnando oggi è il simbolo di una restaurazione retriva e non certo di un processo di sviluppo, di crescita, di inclusività.

Per anni ci siamo riempiti la bocca con il termine “esclusivo”: questo hamburger è esclusivo, questa casa è esclusiva, questa macchina è esclusiva. Ma abbiamo dimenticato rapidamente l’origine del termine esclusivo, che è ovviamente il verbo “escludere”. E dunque viene da chiedersi: ma che società è, quella che punta all’esclusione degli altri e a un gruppetto di pochissimi che guadagna cifre imbarazzanti? 
 

Tags:
calciocarlos tavaresfcambappèstellantis