Tim-Dazn, caos Kkr e svolte ai vertici: arrivano Azzi e Bernabè. Cosa cambierà
Stefano Azzi, già manager in Tim, diventa il nuovo ceo della branch italiana di Dazn, mentre Franco Bernabè con un passato in Eni sarà strategic advisor
Tim-Dazn, che cosa succederà nelle prossime settimane
I destini di Tim e Dazn sono intrecciati da un accordo triennale per la ritrasmissione delle partite di calcio della serie A che il broadcaster ha acquistato per 840 milioni all’anno. La cifra complessiva dell’accordo dovrebbe aggirarsi intorno al miliardo di euro. E questo è noto. Nelle scorse settimane l’ex-Sip avrebbe chiesto uno sconto, però, visto che qualcosa non ha funzionato nella trasmissione da parte di Dazn.
Tra l’altro, proprio nei giorni scorsi l’Agcom ha stabilito che a dare “i numeri” degli ascolti non deve essere il broadcaster, in tandem con Nielsen, ma l’Auditel. Critiche in effetti erano arrivate da entrambi gli schieramenti: Dazn sostiene che il campione che rileva le informazioni sia obsoleto; l’Auditel che il broadcaster abbia in qualche modo ritoccato a suo vantaggio le informazioni sull’audience.
Prova ne sia che nell’ultima giornata, secondo i dati lanciati ieri, c’è uno scostamento del 79%. Dazn e Nielsen certificano il derby di Milano come seguito da poco meno di due milioni di spettatori, per “Auditel Big Screen”, invece, sarebbero stati 1,17.
Insomma, c’è ancora molto da limare. Per questo non stupisce che da Londra abbiano scelto di nominare due nuovi manager di peso per accompagnare Dazn. Il primo è Stefano Azzi – già manager in Tim – che diventa il nuovo ceo della branch italiana al posto di Veronica Diquattro che da ottobre è Chief Revenue Officer per l’Europa.
Il secondo è un pezzo da novanta dell’economia italiana: Franco Bernabè. Il manager, un passato in Eni e Telecom, è attualmente il presidente dell’ex-Ilva (altrimenti noto come Acciaierie d’Italia). A lui il ruolo di strategic advisor per le attività in Italia. Che cosa pensino a Taranto di questo incarico è presto per dirlo, ma qualcuno sostiene che Lucia Morselli non faticherà troppo a farsene una ragione.
Veniamo a Tim: al momento la situazione è in surplace e le voci che trapelano dall’azienda sono poche e scarne. In attesa di capire che cosa succederà il prossimo 14 febbraio, con il primo cda post-nomina di Labriola, infatti, tutti si interrogano su quale sarà il futuro dell’offerta di Kkr.
Fonti accreditate riferiscono ad Affaritaliani.it che gli americani vogliono capire se e come procederà la due diligence. D’altronde, il fondo statunitense è già presente nel mercato delle telecomunicazioni tramite la sua partecipazione in Fibercop. Difficile, per non dire impossibile, pensare che possa saltare la trattativa e che Kkr abbandoni il nostro Paese.
Però nel frattempo è arrivata l’offerta di Iliad per Vodafone Italia. Si parla di circa 14 miliardi, qualcosa in più del consensus degli analisti che si ferma in una forbice tra i 10 e i 12 miliardi. Ma è ovvio che se il terzo operatore di telefonia mobile e il secondo di rete fissa viene valutato più di Tim, bisogna forse rivedere alcuni paletti.
Reuters ad esempio riferisce che all’interno del mondo pubblico italiano – ma non si chiarisce se si faccia riferimento direttamente al governo o a Cassa Depositi e Prestiti – stia montando la convinzione che il prezzo sia effettivamente troppo basso. Non tanto per il valore attuale di Tim (oggi in rialzo ma ancora lontani dalla quota dell’opa di Kkr fisssata a 0,505) che corrisponde a una capitalizzazione di borsa di 9,2 miliardi. Ma per gli scenari futuri che potrebbero verificarsi sia per lo scorporo dei servizi dalla rete, sia per il Pnrr che punta moltissimo sulla digitalizzazione.