Tim, Ita e rete unica: le mille partite di Cassa Depositi e Prestiti

Il "braccio economico" del Mef rimane fondamentale anche per un eventuale governo di centro-destra: che potrebbe decidere di sparigliare le carte

di Marco Scotti
Dario Scannapieco e Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato e presidente di Cdp
Economia
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Da Tim a Ita passando per la rete: tutte le novità su Cdp

Cassa Depositi e Prestiti è tornata al centro della cronaca finanziaria. E lo ha fatto nel momento in cui è gestita da uno dei manager più schivi che la storia recente ricordi, Dario Scannapieco, in una sorta di nemesi che però si sta facendo sentire in questi giorni a cavallo di Ferragosto. Affaritaliani.it in tempi non sospetti ha sollevato il dubbio che un governo a trazione Fratelli d’Italia, specie se dovesse essere accreditato di un largo consenso alle elezioni, potrebbe persino pensare di rimescolare le carte e chiedere il rimpasto alla guida di Cdp. Difficile? Sicuramente, anche perché da statuto per chiedere la decadenza del consiglio di amministrazione – così come per altri provvedimenti di importanza apicale – serve il consenso dell’85% del capitale. Tradotto: non basta il Mef, serve per forza il coinvolgimento delle Fondazioni. Possibile? Certo, ma decisamente non probabile. 

Eppure, si continua a parlare di questa eventualità, segno evidente che qualcosa sobbolle. Tanto più che il toto-nomi per il ministro dell’economia sembra essere ristretto a due: Giulio Tremonti, che con Fratelli d’Italia dovrebbe candidarsi; Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce e uomo di Mario Draghi. In entrambi i casi ci sono buone possibilità che Scannapieco rimanga al suo posto. Eppure…

Anche perché Fratelli d’Italia ha un’idea ben precisa di quello che deve essere il ruolo della Cassa. Non una mangiatoia pubblica, ma sicuramente il “braccio armato” del governo in un’economia complessa. Più di quanto non sia già ora. Ecco perché si è sparsa l’ipotesi che Cdp potrebbe anche lanciare un’opa su Tim per poi avviarne il delisting, vendere la parte retail, cedere il Brasile e quindi procedere a un “salvataggio” a tutti gli effetti. Ci sono però due ordini di problemi: il primo è che, se si decidesse di cedere il Brasile, di scorporare la parte retail e chissà quale altro smembramento, sarebbe poi impossibile riuscire ad avere un’azienda che generi una qualche redditività, spogliata di ogni asset fruttuoso. 

Infine perché per comprare Tim bisogna passare dai francesi di Vivendi, che dell’ex-Sip detengono il 23,9% con un valore di carico intorno agli 0,8 euro per azione. Per intenderci: quando Kkr si presentò con 11 miliardi cash e una valorizzazione dell’azienda a 0,505 euro per azione i francesi decisero di non sedersi neanche al tavolo, facendo intendere che non fossero disposti ad assumersi alcun tipo di svalutazione. Non che Cdp sia messa meglio, visto che il valore di carico è intorno agli 0,6 euro per azione, mentre oggi viaggiamo poco sopra gli 0,2. Lo scorso anno ha potuto evitare la svalutazione dell’asset perché il valore del titolo al 31 dicembre era superiore a quello del 2020. Quello che è certo è che Cassa Depositi e Prestiti, che l'ha dichiarato a più riprese, vorrebbe - eccome - procedere con la rete unica

Il ruolo di Vivendi

A proposito di Vivendi, c’è da dire che il gigante francese ha un profilo interessante e poco approfondito. Prima di tutto, è partecipato dall’omologo di Cassa Depositi e Prestiti francese, Caisse Des Dépôts et Consignations, con una quota del 5,35% del capitale. Tanto che in Francia le dichiarazioni pubbliche del management sono dosate con il contagocce. Diversa la situazione in Italia, dove il ceo Arnaud De Puyfontaine è sempre stato molto loquace, soprattutto quando si è trattato di dare un valore alla rete. Solo che il flottante di Tim è oltre il 60% del capitale totale e dichiarazioni in un senso o in un altro hanno un peso. Prova ne sia il rally del 12 agosto scorso, quando l’ex-Sip ha guadagnato oltre il 6%, o il “down” del 16 agosto quando il titolo ha tirato il fiato.

Ci sarebbe quasi da chiedere l’intervento di una qualche authority (Consob su tutte). Ma è evidente come sia cambiata la percezione nei confronti dei francesi. Da nemici giurati della famiglia Berlusconi – e del tessuto economico italiano – oggi invece sono protagonisti di questa complessa stagione. Mantengono formalmente meno del 5% di Mfe, ma la Simon Fiduciaria detiene un pacchetto riconducibile proprio a Vivendi del 18,7%. Secondo gli accordi con l’ex-Mediaset, Vivendi avrebbe dovuto vendere la quota di Simon a un ritmo del 5% all’anno. Si era nel maggio del 2021. Oggi, a distanza di 15 mesi, è stato ceduto circa lo 0,5%. 

In tutto questo mare magnum d’informazioni, dunque, rimane da capire che cosa voglia fare un ipotetico governo guidato da Fratelli d’Italia. Intervistato da Affaritaliani.it, Alessio Butti, responsabile di FdI per le telecomunicazioni, ha spiegato chiaramente di volere una rete unica non verticalmente integrata, di fatto rispondendo anche a eventuali perplessità dell’Europa che non approverebbe mai soluzioni differenti. E dunque l’idea che sia Cdp a comprarsi Tim appare difficile da credere, per non dire improbabile. Ma c’è di più: a più riprese FdI ha chiesto di stoppare la trattativa per la cessione di Ita. Perché? Qualcuno ha sostenuto che si volesse fare pressione sulla Cassa affinché rilevi l’ex-Alitalia. Ma non si può, perché da statuto in Via Goito non si possono acquistare aziende in perdita. E Ita lo è stata fino a poco tempo fa. Alcuni rispondono: e allora perché in Saipem è stato deciso di intervenire? Perché formalmente si tratta di un aumento di capitale e non di un investimento.

Infine, in molti si interrogano su quale potrebbe essere il futuro delle aziende partecipate dallo Stato. E i destini di Cdp e del futuro governo tornano a intrecciarsi. Eni, Terna e Poste, infatti, fanno parte del “portafoglio” della Cassa, mentre Leonardo ed Enel no. Ebbene: due dei tre amministratori delegati uscenti che fanno riferimento a Cdp, cioè Claudio Descalzi per Eni e Stefano Donnarumma per Terna hanno presenziato a eventi pubblici organizzati da Fratelli d’Italia. Siamo in Italia, e non sono solo i risultati a parlare. Altrimenti con ogni probabilità nessuno dei manager meriterebbe di essere sollevato dal suo incarico.