Timmermans attacca l'Eni: vietato pagare in rubli. Ma la verità è diversa

Il cane a sei zampe formalmente usa un conto in euro, che un soggetto terzo converte in rubli in modo che Gazprom possa ricevere il pagamento

di Marco Scotti
Claudio Descalzi, amministratore delegato dell'Eni e Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, in missione per trovare alternative al gas russo
Economia
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Timmermans: vietato pagare il gas in rubli

Ha un bel dire il vicepresidente esecutivo della Commissione Europea Frans Timmermans che “pagare il gas in rubli viola le sanzioni Ue”. Ma è l’ennesima dimostrazione di una scollatura sempre più totale tra l’Europa della teoria e quella della pratica. La prima a Bruxelles pontifica della necessità di continuare con le sanzioni alla Russia di Putin, chiedendo a gran voce l’invio di armi all’Ucraina – a proposito, quando finirà la stupida retorica dei dispositivi “da difesa” o “da attacco”? La capacità di offesa rimane a prescindere – e lanciando anatemi contro tutto e tutti. Ma è quella stessa Europa ostaggio dei micro-Paesi (vero Ungheria?) che si mettono di traverso sulle votazioni e rendono il passaggio di qualsiasi decisione largamente condivisa pressoché impossibile.

Le aziende e l'economia soffrono

Dall’altra, invece, c’è la pratica, quella che deve lottare per sopravvivere tra caro-energia, materie prime alle stelle, inflazione, scarsità di container. Bene. In questa progressiva scollatura si inserisce la vicenda Eni che, dicono a Bruxelles, “pagherebbe in rubli la fornitura di gas”. Facciamo allora un po’ di ordine. Prima di tutto, il cane a sei zampe impiega euro per corrispondere a Gazprom le cifre pattuite. Il famoso conto “K” è un artificio inventato proprio dai russi che permette di mantenere stabile il rapporto nonostante il meccanismo sanzionatorio.

Come funziona il contratto Gazprom-Eni

Questo è il risultato di una lunga trattativa tra Gazprom – che voleva il gas pagato in rubli – e l’Eni che si è formalmente opposta. La pretesa del colosso energetico russo derivava da un decreto di Mosca che imponeva il pagamento in rubli. A quel punto Eni, così come le altre compagnie europee, si è scelto di aprire un secondo conto corrente, in rubli, su cui un soggetto terzo diverso dai due colossi energetici (ma anche dalla Banca centrale russa), procede alla conversione nella valuta locale. Il cane a sei zampe ha ribadito fin da subito che il pagamento doveva considerarsi approvato nel momento in cui si versava sul conto corrente la cifra, in euro, stabilita dai contratti di fornitura.

E Gazprom ha messo nero su bianco tre punti fondamentali: il pagamento avviene in euro; la banca centrale russa non è coinvolta; la conversione da euro a rubli avverrà entro 48 ore e, se così non dovesse essere, il gas verrà inviato lo stesso. Rimane da capire, dunque, se l'Europa riuscirà a varare un pacchetto di sanzioni che, a quel punto, potrebbe comprendere anche il blocco al gas russo. Ma si tratterebbe di un tema enorme che, al momento, non è all'ordine del giorno.

Manca una direttiva europea

Anche perché, in assenza di un qualsiasi documento ufficiale, di una legge comunitaria o, meglio ancora, di una direttiva, se Eni decidesse di non pagare il gas di Gazprom si troverebbe di fronte a un doppio problema: sarebbe in penale con i russi per la mancata corresponsione di quanto dovuto; e con i clienti del cane a sei zampe cui verrebbe ridotta o chiusa la fornitura di gas. Impossibile, dunque, agire semplicemente per slogan.

Questo l’hanno capito bene non soltanto in Eni, ma in altre grandi aziende energetiche europee tedesche o francesi. Che hanno però raccontato solo la parte più conveniente della vicenda, cioè che loro pagano il gas in euro. Verità, seppur parziale, ma verità

Chi decide davvero in Europa?

Ha un bel dire, dunque, Frans Timmermans, che i pagamenti in rubli non si possono fare. E infatti, nessuno li fa. Ma la verità è che oggi a dettare le strategie economiche e di sviluppo dei paesi non sono più i governi, la politica, ormai incartata in un raccapricciante gioco a chi riesce a conservare più a lungo la poltrona. Sono le grandi aziende che dettano il futuro del Paese. Basti vedere che tutte le missioni di Luigi Di Maio all’estero hanno visto la presenza di Claudio Descalzi al suo fianco. Visto l’atteggiamento propagandistico che si tiene nelle sedi politiche, vien quasi da dire “per fortuna”.

 


 

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