Vitrano (ClearBridge): "Puntiamo sul'healthcare. Meta è ferita ma non morta"

La portfolio manager, tra le 10 più influenti a livello globale, annuncia nuovi aumenti dei tassi da parte della Fed

di Marco Scotti
Economia

Vitrano (Clearbridge): "Ci saranno altri aumenti dei tassi da parte della Fed

L’ansia di una nuova recessione e i mercati che già da tempo hanno iniziato a fiutare una brutta aria. Da gennaio a oggi il S&P500 ha perso il 25%, il Dax di Francoforte oltre il 23, Piazza Affari quasi i 27%. Uno scenario complesso in cui si torna a respirare un’aria da bolla che scoppia, un po’ come avvenuto a cavallo del nuovo Millennio con i titoli tecnologici. Proprio i colossi della Silicon Valley, con Meta in testa, hanno iniziato a indietreggiare: la creatura di Mark Zuckerberg dall’inizio dell’anno ha perso oltre il 60% della sua capitalizzazione di mercato, dopo aver flirtato con il famoso “trilion” (mille miliardi di capitalizzazione) oggi vale “solo” 345 miliardi, cioè tre volte e mezza la valutazione della maxi Ipo nel 2012.

Margaret Vitrano, Portfolio Manager di Clearbridge Investments 
 

Lo stesso Zuckerberg, che aveva raggiunto il gradino più basso del podio degli uomini più ricchi del mondo, oggi è al 25esimo posto nella classifica dei “paperoni” mondiali. Insomma, c’è preoccupazione e anche qualche dubbio: dove andrà a finire la finanza? Su quali titoli puntare? Affaritaliani.it l’ha chiesto a Margaret Vitrano, Portfolio Manager di Clearbridge Investments (parte di Franklin Templeton), indicata nelle prime dieci professioniste a livello globale.

Vitrano, siamo alla vigilia di una nuova bolla finanziaria che riguarda i titoli tecnologici?
In realtà la bolla è già scoppiata, prima ancora dell’inizio della pandemia. Le valutazioni dei titoli tech, però, sono ancora piuttosto care, anche se si stanno progressivamente riducendo. Prendiamo ad esempio i servizi di software as a service, che venivano scambiati a 30 volte i ricavi, mentre ora vengono valutati tra le 10 e le 15 volte. Con l’aumento dei tassi d’interesse la bolla è già quasi del tutto scoppiata, ma non è ancora finita. L’attesa di una crescita del S&P 500 (il principale listino americano, ndr) dell’8% nel 2023 mi sembra un po’ troppo ottimistica. C’è ancora spazio per una riduzione complessiva delle valutazioni.

Su quali settori vi state concentrando per proteggere gli investimenti?
L’healthcare è il nostro mercato principale, perché sarà meno impattato dalle pressioni inflazionistiche di molti altri. E il Covid non c’entra più niente, è sempre meno rilevante nei bilanci delle aziende del biomedicale. La forza dell’healthcare sta nel fatto che subisce meno di altri la volatilità che caratterizza i mercati in questo momento. 

A proposito di inflazione, che cosa si aspetta dalla Fed?
Powell è stato molto chiaro: il primo obiettivo è ridurre l’inflazione, è la sua priorità principale. Per questo mi attendo che la Federal Reserve continui a essere aggressiva nell’incremento dei tassi: per essere chiari, mi attendo diversi incrementi dei tassi nei mesi a venire. La Fed sa bene che questo avrà degli impatti sui livelli occupazionali, ma è una questione di equilibri: in questo momento il tasso di disoccupazione è piuttosto basso, mentre l’inflazione è all’8-9%. Per questo serviranno diversi mesi per capire se gli aumenti hanno avuto effetto. Poi mi aspetto un momento di pausa per capire quali siano stati i benefici dell’incremento dei tassi. Solo allora si potrà eventualmente parlare di un abbassamento del costo del denaro. 

L’incremento dei tassi da parte della Federal Reserve innesca quello che gli anglosassoni chiamano lo “snowball effect”, l’effetto valanga: i listini mondiali arretrano, l’economia globale si raffredda. Ritiene che Powell dovrebbe guardare anche un po’ al di fuori dei confini americani?
In passato Janet Yellen (presidente della Fed dal 2014 al 2018 e oggi Segretaria del Tesoro, ndr) ha detto che la Fed non poteva non accorgersi di quello che succedeva al di fuori degli Stati Uniti. Oggi però ritengo che la situazione sia diversa e che il presidente Powell abbia dimostrato di volersi concentrare quasi esclusivamente sulla politica interna americana. 

Al di fuori degli Stati Uniti, però, c’è una Cina che diventa sempre più difficile da decifrare: è con Putin? Gioca una partita tutta sua? È un partner affidabile?
In passato spesso ci si è interrogati su quali fossero le differenze tra l’amministrazione Trump e quella di Biden. In realtà, per quanto riguarda i rapporti con la Cina, la verità è che non ci sono grandi divergenze. La preoccupazione intorno all’azione di Pechino è bipartisan. Questo non significa che si possa tagliar fuori la Cina e smettere di fare affari con loro, sono troppo importanti per noi e per l’Europa. Ma le relazioni sono più fredde e continueranno a esserlo, ma è un processo iniziato almeno cinque anni fa. Molte delle multinazionali americane continuano a fare ottimi affari con la Cina, ma per quanto riguarda la produzione stiamo assistendo a un rapido processo di onshoring, cioè di ritorno delle attività entro i confini americani. L’esempio più lampante è quello di Intel, che produrrà semiconduttori negli Usa.

Che cosa pensa che accadrà in mercati emergenti come India e Brasile?
Credo che serva ancora del tempo per comprendere appieno le dinamiche di questi Paesi. Penso soprattutto all’India, che è un mercato estremamente sfidante. C’è una popolazione enorme, con tantissimi potenziali consumatori, ma ci sono scenari che la rendono difficile da comprendere. Prendiamo Netflix, ad esempio, che ha avuto qualche ostacolo nel raggiungimento dei profitti a fronte di un platea da oltre un miliardo di persone. 

Torniamo ai “consigli per gli acquisti”: oltre all’healthcare vede altri settori interessanti?
L’healthcare rimane il nostro preferito, per il resto stiamo cercando di diversificare quanto più possibile. Sappiamo che i multipli e i rendimenti si ridurranno, per questo cerchiamo di avere un portafoglio quanto più possibile diversificato. Vogliamo difenderci ma siamo anche alla ricerca di opportunità di lungo termine in mezzo al vasto sell-off di mercato in corso, perché siamo pur sempre dei gestori. Vogliamo avere una “lista della spesa” pronta per quando le cose torneranno a essere normali, con tassi adeguati. Nel mondo industriale vediamo dei trend di ampio respiro: l’elettrificazione, ad esempio, è qualcosa che sta crescendo. E le aziende che sono all’interno di questo comparto, dunque, hanno valutazioni alte e rendimenti non particolarmente elevati. Ma sono al centro di una trasformazione epocale che durerà per anni. 

È il momento di puntare ancora sulla Silicon Valley, ora che le valutazioni si sono decisamente ridotte? O bisogna ancora aspettare?
Dipende molto dall’orizzonte temporale che si vuole considerare. Se parliamo di un periodo di tempo lungo, secondo me queste società sono ancora decisamente interessanti. Prendiamo Meta, ad esempio: in questo momento ha una bassa valutazione perché si occupa di advertising online e, con l’economia che rallenta, è una dinamica normale. Però non dimentichiamo che c’è un ottimo engagement a livello globale anche grazie a WhatsApp e Instagram. E la piattaforma di messaggistica non è ancora monetizzata a dovere. 

C’è un problema Silicon Valley?
No. Molte aziende stavano crescendo in modo così rapido e profittevole che avevano bisogno di imparare la disciplina finanziaria. Google, che attualmente non abbiamo in portafoglio, l’ha fatto da tempo e oggi ha una solidità notevole. Nonostante la recente frenata delle assunzioni, Google sta ancora investendo nel suo business cercando soltanto di mostrare una maggiore disciplina nella gestione delle spese. 

C’è anche da dire che il mondo della Silicon Valley si è molto schiacciato sul tema dei pagamenti, sembrava che ogni nuova realtà fosse ormai destinato a diventare un unicorno: è così?
Il mondo della digitalizzazione dei pagamenti continua a crescere, anche in Italia, dove l’uso del denaro contante era preponderante prima della pandemia. Il discorso cambia se si prende in esame solo il mondo del Buy Now Pay Later, perché lì ci sono anche dei temi di merito di credito, soprattutto se dovesse ridursi l’occupazione negli Stati Uniti. Le aziende che offrono la dilazione dei pagamenti in maniera diretta rischiano di andare sotto pressione. Diverso il tema di Amazon, che garantisce la possibilità di rateizzare, ma si appoggia su un provider esterno che supporta il rischio di credito al consumo.
 

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