Politica
Governo, Giorgia Meloni fra l’incudine e il martello di oppositori e alleati
La svolta politica del voto del 25 settembre impone al nuovo esecutivo forti cambiamenti di metodo e di sostanza, su tutti i fronti.
Governo, ciò richiede uno sforzo da parte di tutti, a partire dal Pd in pieno smarrimento di linea politica e leadership
La situazione pare comica ma è seria. Dopo il voto del 25 settembre con la vittoria del centrodestra e il trionfo di FdI c’è sui due fronti chi ha fatto finta di niente girando il mestolo convinto che sia sempre la stessa zuppa. Alla prima prova del voto sui presidenti di Camera e Senato si è capito subito l’aria che tira, un segnale per il dopo che presto verrà.
La buriana al Senato per l’elezione a presidente di Ignazio La Russia (il “Mefisto” di Almirante) con il forfait di Forza Italia e la stampella decisiva e strumentale di voti dell’opposizione e l’ira a sinistra contro il neo presidente della Camera Lorenzo Fontana (leghista ultracattolico del “No” a migranti, gay e aborto bollato come “putiniano e misogino”) è niente rispetto a quel che accadrà nel parlamento e nel paese dopo l’insediamento del nuovo governo di centrodestra con Giorgia Meloni premier.
Meloni che, presto da Palazzo Chigi, sentirà gli effetti di quel che su di lei ha scritto l’altro giorno nei suoi appunti al Senato Silvio Berlusconi: “Supponente, offensiva e arrogante: con lei non si può andare d’accordo”. Meloni che ha rispedito subito al mittente la cortesia: “Nel suo appunto mancava un punto: Non sono ricattabile”. Qui siamo. Il tutto prima che ledanzeabbiano inizio.
Il bello, si fa per dire, per la Meloni a Palazzo Chigi, verrà con le prime ondate degli umori del suo partito e del suo elettorato che non intendono subire diktat da nessuno, tanto meno dai partiti alleati, e non accetteranno scuse neppure dalla loro Giorgia (per gli avversari la “capessa”) se i programmi elettorali non verranno trasformati in fatti concreti. L’obiettivo è fare, fare subito, fare meglio del “governo dei migliori”.
Con un Paese nella tenaglia di una crisi energetica sempre più stringente, con l’impennata dell’inflazione, con la guerra in Ucraina e con lo spettro di una recessione mondiale, di tutto c’è bisogno meno del solito teatrino all’italiana. La svolta politica del voto del 25 settembre impone al nuovo esecutivo forti cambiamenti di metodo e di sostanza, su tutti i fronti.
Ciò richiede uno sforzo comune da parte di tutti, pur nel rispetto della diversità dei ruoli di chi sta al governo e di chi sta all’opposizione. Obiettivo tutt’altro che facile, viste le prime mosse da “farisei” con le elezioni dei presidenti di Camera e Senato. Anche perché i partiti sconfitti nelle ultime elezioni e passati all’opposizione, al di là delle scontate dichiarazioni di responsabilità, faranno di tutto e di più per far saltare il banco.
A cominciare dal Pd, in pieno smarrimento di linea politica e di leadership e che nel primo sondaggio post voto crolla al 18%, tutti i partiti fuori dalla maggioranza di governo cureranno i loro obiettivi particolari e non gli interessi del Paese. Così sarà. Con la rincorsa alla protesta di ogni tipo (è vero che la sinistra non ha più le folle oceaniche da portare in piazza ma ciò scatenerà gruppi e gruppuscoli orchestrati da burattinai nazionali e internazionali e sarà ancor peggio) per rendere la vita dura al governo Meloni, per farlo saltare nel giro di pochi mesi addossandogli tutte le colpe, fino ad essere accusati di incapacità, di autoritarismo fascista, un pericolo per la democrazia e per la libertà. La responsabilità di tutti i mali del Paese verrà addossata al nuovo governo e si farà di tutto, anche a livello mediatico, per far dimenticare da che pulpito arriva la predica.
Le opposizioni, caso mai, si divideranno sul “come” e sul “quando” soffiare sul fuoco. Chi dirà di prender tempo lasciando che sia la Meloni e il suo governo a tirare la carretta, sfiancandosi e perdendo la faccia di fronte al Paese e chi, invece, non vorrà che il nuovo esecutivo si assesti nei palazzi del potere e per questo proverà a seminare trappole e ad avvelenare subito i pozzi nella logica del tanto peggio tanto meglio. Non servono cattivi profeti per capire che sarà solo Giorgia Meloni e il suo governo (non tutto) a metterci la faccia e a tirare la carretta, chiedendo ancora più sacrifici agli italiani, a cominciare da quelli che hanno sempre pagato. Gli altri partiti, pur se con differenti sfumature di modi di dire e di fare, daranno addosso a premier e governo.
A quel punto anche nella maggioranza si moltiplicheranno mugugni, distinguo e divisioni sul programma comune e sul modo e i tempi della sua realizzazione. Così prevarranno egoismi e forzature di ogni tipo. Alla Meloni, contro la quale si concentrerà il fuoco di nemici e amici vecchi e nuovi, non resterà che usare il pugno duro. O uscire di scena, con le pive nel sacco. E il Paese cadrà dalla padella alla brace. Aspettare per credere.