Africa: Macron espulso dal Sahel dopo aver arruolato l'Italia. Avanti Putin-Xi
Macron abbandona il Mali dopo aver coinvolto i militari italiani. Nel continente cresce il sentimento antifrancese mentre si fanno spazio nuovi attori
Macron continua a perdere pezzi in Africa. Ritiro dal Mali dopo aver coinvolto i militari italiani
Un tempo era un'ancora di salvezza e di speranza. Oggi una zavorra che rischia di tirare giù tutto. La Francia non è più quella che era un tempo in Africa. Continua a perdere pezzi di popolarità, di presenza, di infuenza. Così come gli Stati Uniti hanno lasciato spazio in Afghanistan, la Francia sta lasciando spazio in Africa, un tempo suo "giardino di casa" nel quale Parigi poteva continuare a sentirsi grande potenza. Ora tutto sta cambiando.
Il cerchio rosso da mettere sulla mappa è quello relativo al Mali. Nei prossimi mesi la Francia metterà fine, insieme ai partner europei, le operazioni antiterrorismo nel paese chiave dell'area del Sahel. La conferma è arrivata, annunciata, in coda a mesi di polemiche diplomatiche tra Parigi e Bamako. "A causa dei molteplici impedimenti delle autorità transitorie maliane, il Canada e gli Stati europei che operano a fianco dell'Operazione Barkhane e all'interno della Task Force Takuba ritengono che non siano più soddisfatte le condizioni politiche, operative e giuridiche per perseguire efficacemente il loro attuale impegno militare nella lotta al terrorismo in Mali e hanno quindi deciso di avviare il ritiro coordinato dal territorio maliano delle rispettive risorse militari dedicate a tali operazioni", si legge nella dichiarazione sottoscritta da 25 stati, tra cui l'Italia.
E dire che la Francia aveva dispiegato 4300 soldati nel Sahel per contribuire alla lotta anti-terrorismo. Tutto è cambiato però negli scorsi mesi. Il golpe militare ha ribaltato i rapporti con Parigi, dando peraltro sfogo a un malcontento generale. Al culmine delle tensioni con Parigi, l'ambasciatore francese a Bamako è stato espulso dal paese mentre alla Danimarca è stato chiesto di ritirare le proprie truppe.
Africa, l'erosione dell'influenza della Francia
Ma la débacle francese nell'area parte da più lontano. Nel 2021, l'uccisione di Idriss Déby in Ciad ha lasciato il segno in tutti i governi dell'area. Déby, uomo forte del Ciad appoggiato dai francesi, è morto lo scorso aprile a poche ore dalla pubblicazione dei risultati delle elezioni presidenziali. Il capo di stato ciadiano non è sopravvissuto alle ferite riportate da un attacco condotto durante l'avanzata del Front pour l’Alternance et la Concorde au Tchad (FACT). Un forte colpo alla reputazione della Francia di agente di sicurezza, nonostante Parigi si sia impegnata nei mesi successivi, anche con l'aiuto dell'Italia, a colpire i gruppi jihadisti presenti nel quadrilatero Niger-Ciad-Mali-Burkina Faso.
Non abbastanza. Ora la ritirata francese rischia di avere ripercussioni anche sull'Italia, che peraltro proprio di recente ha confermato e anche irrobustito le sue missioni militari nel Sahel. Area considerata cruciale come testimoniano anche le ripetute visite di ministri chiave del governo italiano come Lorenzo Guerini e Luigi Di Maio. Non è un caso che del tema Sahel abbiano parlato a lungo Mario Draghi ed Emmanuel Macron durante l'incontro di ieri.
La relazione del Copasir sull'argomento spiega bene la prospettiva di interesse dell'Italia sulla regione: "Il Sahel è l'area di maggiore espansione del terrorismo islamico, terra di conquista dello jihadismo" e "negli ultimi anni l'Italia ha accresciuto la propria presenza" in questa zona dell'Africa. L'Italia, prosegue il report, ha accresciuto la sua presenza "nell'ambito di un approccio multidimensionale che ha puntato sull'intensificazione del dialogo politico, sull'aumento del contributo alla sicurezza, sul rafforzamento delle istituzioni statuali e sullo sviluppo sostenibile. Ne sono prova il rafforzamento della rete diplomatica italiana nella regione e l'avvio, nel 2018, della prima missione militare italiana di formazione e assistenza in Niger (MISIN), che ha consentito di addestrare circa 5.000 unità delle Forze armate nigerine nel contrasto al terrorismo e nel controllo delle frontiere, nonché il recente accordo, siglato proprio in Italia, tra il governo del Mali e i gruppi del Nord".
L'impegno dell'Italia e l'incognita per i militari nel Sahel
L'Italia ha anche aperto diverse ambasciate nell'area, mostrando la volontà di una presenza non solo militare ma anche diplomatica. Il problema, riconosce anche il Copasir, è il crescente sentimento antifrancese che pervade la regione. "Occorre poi considerare che in questa regione si registra il nuovo protagonismo di potenze non occidentali che stanno approfittando delle difficoltà della Francia, come dimostra il caso emblematico del Mali, Stato considerato centrale per la stabilizzazione del Sahel. Questo scenario problematico - a fronte di una situazione caratterizzata dalla presenza di gruppi jihadisti che operano travalicando le frontiere, anche sfruttando le crisi politiche presenti nei paesi saheliani - potrebbe infatti provocare un effetto domino sugli Stati vicini con conseguenze anche sui flussi migratori e sui traffici illegali".
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Africa, così si fanno spazio Russia e Cina
Il primo esempio delle nuove o vecchie potenze che si espandono in Africa porta alla Russia. Tradizionalmente, il legame tra Russia e Africa è stato più che altro di natura militare. Ancor prima della sua dissoluzione, l'Unione Sovietica ha partecipato all'addestramento di circa 250 mila soldati africani provenienti da diversi paesi, in particolare Zimbabwe, Guinea e Madagascar. A livello commerciale, invece, Mosca parte da una posizione di netto svantaggio rispetto agli altri attori presenti nel continente. Ma mentre l'interscambio commerciale di alcuni di questi sta diminuendo, quello russo è in deciso aumento. Basti vedere a quanto successo nel decennio 2006-2016, durante il quale secondo il report del Brookings Institution, l'export degli Stati Uniti è diminuito del 66%, così come quello del Brasile, mentre quello di Mosca è aumentato dl 168%, pur mantenendosi su livelli totali ancora molto minori.
La presenza russa si spinge anche nel cuore dell'Africa. In particolare nella Repubblica Centrafricana, paese già dilaniato da una lunga serie di conflitti interni. E' qui che la presenza russa in Africa si fa più evidente. Dopo un incontro tra il presidente di Bangui, Touadéra e il potente ministro degli Esteri Sergej Lavrov, Mosca ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu una deroga sull'embargo delle armi per la Repubblica Centrafricana, in vigore dal 2013. Dopo la concessione della deroga, la Russia ha cominciato non solo a esportare armi nel paese ma anche a mandare nel paese proprie forze speciali, che hanno rafforzato la guardia presidenziale, e istruttori militari. In cambio, il governo di Bangui ha garantito l'accesso ad alcuni dei suoi giacimenti minerari a delle società russe, alcune ancora una volta riconducibili a Prigozhin. A proposito di risorse naturali, la Russia partecipa a progetti di estrazione anche in altri paesi africani come per esempio Sudafrica, Guinea e Zimbabwe. Ma nella Repubblica Centrafricana Mosca sta provando a esercitare anche il proprio soft power attraverso, tra le altre cose, l'apertura di un istituto di cultura e persino l'organizzazione di concorsi di bellezza.
L'influenza della Cina in Africa
C'è poi, ovviamente, anche la Cina. Non è un caso che il ministro degli Esteri cinese abbia iniziato il suo 2022 in tour in trepaesi africani (Eritrea, Kenya e Comore) come antica tradizione della diplomazia cinese, che dura da quasi 60 anni. Durante il tour sono stati firmati diversi accordi bilaterali. D'altronde nei primi 9 mesi del 2021 l'interscambio Cina-Africa ha raggiunto 185,2 miliardi di dollari, con un aumento del 38,2% su base annua, stabilendo un nuovo record.
Tutto si unisce ai recenti dati della presenza cinese in Africa pubblicati dal China-Africa Business Council. Ebbene, nonostante il Covid-19 gli investimenti di Pechino nel continente sono cresciuti, raggiungendo i 3 miliardi di dollari nel solo 2020. I due settori con le cifre maggiori sono le infrastrutture e l'estrazione mineraria. I tanti accordi nel settore della telecomunicazione aiutano anche Pechino a estendere la sua sfera di influenza sul continente. Intanto è entrata in funzione una mega miniera in Congo che produrrà fino a 800 mila tonnellate di rame all'anno per il mercato cinese, con la prima spedizione partita nelle scorse settimane.
Malgrado il ritiro dal Mali, Francia e partner europei si impegnano comunque a continuare a combattere il terrorismo rilocalizzandosi su altri paesi dell'area, in particolare il Niger. E provano ad allargare anche il portafoglio. Nel vertice Ue-Africa di questi giorni, Bruxelles ha promesso nuovi ingenti finanziamenti al continente africano. Si lavora a una serie di progetti ambiziosi, che Politico individua in piani per migliorare la connettività digitale, costruire nuovi collegamenti di trasporto e accelerare il passaggio a fonti di energia a basso contenuto di carbonio. Il tutto all'interno della più ampia strategia Global Gateway, percepita come una risposta (tutta da verificare ancora) alla Belt and Road di Pechino.
Per ora, comunque, Europa e Francia fanno un passo indietro dall'Africa. Che siano poi in grado di farne due avanti resta da vedere.