Attacchi chirurgici israeliani uccidono donne e bambini: il caso

La strategia del terrore e dell'emergenza del governo israeliano di ultra destra è chiarissima così come è chiaro che uccidere gli attivisti della Jihad

di M. Alessandra Filippi
Esteri

Israele-Gaza, altro che attacchi chirurgici. Il caso 

Dovevano essere attacchi “chirurgici” quelli sferrati dall'esercito israeliano alla striscia di Gaza. Obiettivo: uccidere tre comandanti delle Brigate al-Quds, il braccio armato del movimento islamista palestinese considerato "terrorista" e responsabile dei recenti lanci di razzi contro israele. Invece si sono stati una carneficina: insieme a Jihad al-Ghannam, Khalil al-Bahtini e Tariq Izz al-Deen, sono morte 10 persone, fra cui le loro mogli e molti dei loro bambini, e almeno altre 20 sono state gravemente ferite.

La strategia del terrore e dell'emergenza del governo israeliano di ultra destra è chiarissima, così come è chiaro che uccidere gli attivisti della Jihad mentre si preparavano ai colloqui per il cessate il fuoco al Cairo significa decapitare qualunque iniziativa orientata a costruire ponti e non muri fra il popolo palestinese e quello israeliano. 

Come prevedibile, la narrazione ufficiale del governo guidato da Benyamin Netanyahu recita invece che gli attacchi nella Striscia della notte scorsa si sono resi necessari "in risposta ad una incessante aggressione da parte della Jihad islamica" e che "i terroristi uccisi erano al lavoro per condurre operazioni terroristiche contro cittadini israeliani".

L'ex primo ministro Yair Lapid si spinge oltre attribuendo alla Jihad islamica palestinese (PIJ) la funzione di “delegato iraniano con l'incarico di distruggere lo stato di Israele”. Ipotesi suggestiva tanto quanto irreale, considerato che da quando ha avuto inizio la Nakba – alias il Disastro, che coincide con la proclamazione dello Stato di Israele, avvenuta venerdì 14 maggio 1948 – sono più di 6 milioni i palestinesi che vivono in esilio, impossibilitati a visitare o tornare nelle case dei loro antenati, e sono almeno altrettanti quelli costretti a vivere in condizioni disperate, controllati a vista dall'esercito israeliano, molti in campi per rifugiati creati nel 1948.

Secca, anche se per ora senza conseguenze, la presa di posizione della Giordania. "Condanniamo l'aggressione israeliana a Gaza e il raid a Nablus", ha dichiarato ieri il ministero degli Esteri giordano, invitando tutta la comunità internazionale a dare protezione al popolo palestinese.

Come prevedibile, oggi a Nablus si sono verificati altri scontri. La Palestinian Red Crescent Society ha fatto sapere che i suoi medici hanno curato 145 feriti dopo il raid israeliano nella città occupata della Cisgiordania. Una dozzina di persone sono state colpite da colpi di arma da fuoco, tra cui un ragazzo di 14 anni, e molte altre hanno subito l'inalazione di gas lacrimogeni.

L'attacco sferrato da Israele ieri notte arriva ridosso dell' anniversario della dichiarazione d'indipendenza dello Stato di Israele, che coincide per i palestinesi con l'inizio ufficiale della Nakba- il Disastro - e della prima guerra fra Israele e Palestina. Quel giorno coincise anche con la scomparsa della Palestina dalle cartine geografiche e dalla Storia. Una cancellazione geografica, fisica e culturale tutt'ora in corso.

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