Attacco all'Unifil, Israele agisce così perché non vuole testimoni: userebbe armi chimiche contro Hezbollah

Se Unifil si ritirasse, si aprirebbe un corridoio lungo la costa e i combattenti di Hezbollah sarebbero in trappola. Tajani: "Pretendo delle scuse"

di Redazione Esteri

Unifil in Libano

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Guerra, ecco che cosa c'è dietro all'attacco di Israele all'Unifil in Libano

Israele ieri ha attaccato la postazione dell'Unifil in Libano, di fatto ha sparato contro la base militare comandata dall'Italia, il blitz ha portato al ferimento di due soldati indonesiani. L'attacco da un punto di vista diplomatico è stato gravissimo. Il ministro Crosetto ha evocato i crimini di guerra e il titolare della Farnesina Tajani ha detto chiaramente: "Ora mi aspetto delle scuse, sono stati disattesi gli accordi e violato il diritto internazionale". La situazione in Medio Oriente si fa sempre più preoccupante. Perché Israele vuole liberarsi dell’Unifil? Nel campo delle ipotesi ce ne sono due molto plausibili: una di immagine internazionale e una militare. Israele - in base a quanto risulta a Il Corriere della Sera - non vuole l’Unifil per non avere testimoni dei suoi combattimenti, ad esempio dell’uso di armi chimiche vietate come il fosforo bianco (già denunciato dall’Onu): sarebbe la stessa ragione che ha spinto l’esercito di un Paese che si considera democratico ad accettare giornalisti a Gaza solo con il proprio accompagnamento.

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Il secondo motivo - prosegue Il Corriere - è tattico. Commando e riservisti stanno penetrando in territorio libanese soprattutto dalle fattorie Shebaa che sono al limite di nord-est del Libano meridionale. Se Unifil si ritirasse si aprirebbe un corridoio lungo la costa, a sud-ovest dell’area contesa. Gli israeliani potrebbero così realizzare una classica manovra a tenaglia con le unità provenienti dalle fattorie. I combattenti di Hezbollah sarebbero in trappola. Come in Afghanistan, se la comunità internazionale scappasse e permettesse un’operazione del genere, la credibilità dell’intero sistema di relazioni diplomatiche ne uscirebbe moralmente a pezzi. Ciò che non ha fatto la missione Unifil in Libano è evidente. Primo, non è riuscita ad assistere le forze armate libanesi nel ristabilire il controllo del territorio. Il Sud del Libano, dove operano gli oltre 10 mila caschi blu, è stato per anni sotto occupazione di Israele e poi di gruppi armati cristiani alleati di Tel Aviv. Sul tavolo c'è anche l'ipotesi di far ritirare i soldati italiani, Crosetto studia da tempo questa possibilità estrema, ma ora la situazione rischia di degenerare: prima di tutto servono le "scuse formali di Israele".

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