Biden in Ue: nuova cortina (tech) anti Cina. Nel mirino batterie, 5G e porti

Il presidente Usa arriva in Europa per la sua prima missione all'estero. Al G7 e al vertice Nato proverà ad arruolare i partner, Italia compresa, contro Pechino

di Lorenzo Lamperti
Joe Biden e Xi Jinping
Esteri
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La ricreazione è finita. Questo più o meno quanto dirà Joe Biden ai partner europei durante la sua prima visita nel Vecchio Continente nelle vesti di presidente, nonché prima missione in terra straniera da quando ha messo piede alla Casa Bianca. Le intenzioni dell'ex vice di Barack Obama sono chiare: "arruolare" i paesi dell'Unione europea nella contesa commerciale, tecnologica, e per certi versi ormai anche ideologica, contro la Cina.

CON BIDEN NON FINISCE LA TRADE WAR DI TRUMP. ANZI

Già, perché la cosiddetta "trade war", sempre descritta come un'emanazione del protezionismo villano di Donald Trump, resta pienamente in vigore. Anzi, si è per certi versi inasprita. Solo qualche giorno fa, la Casa Bianca ha aggiunto nuove società cinesi alla lista sempre più nutrita di aziende cinesi presenti nella lista nera degli investimenti alle quali è vietato ricevere fondi statunitensi.

L'AGENDA DI BIDEN IN EUROPA: G7, NATO E PUTIN

L'agenda di Biden è fitta: dall'11 al 13 giugno vertice del G7 in Cornovaglia, il 14 giugno summit Nato a Bruxelles. Dulcis in fundo, il bilaterale con Vladimir Putin a Ginevra del 16 giugno, che arriva a pochi mesi di distanza da quel suo "assassino" riferito al presidente russo che aveva fatto non poco rumore.

LA STRATEGIA ANTI CINESE DI BIDEN FA BRECCIA IN EUROPA CENTRO-ORIENTALE

Ovviamente si parlerà tanto di Russia, soprattutto al vertice Nato di Bruxelles, arma con la quale gli Stati Uniti tengono stretta a sé la cintura di paesi centro-orientali, impedendo la possibile convergenza russo-tedesca (e dunque russo-europea) e allo stesso tempo limitando l'influenza della Cina sul cosiddetto blocco del 17+1, che dal 2012 riunisce in un summit annuale Pechino e 16 stati che vanno dal Baltico ai Balcani passando per Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria, finendo con la Grecia. 

L'OSTILITA' DI BIDEN NEI CONFRONTI DI PUTIN

Rispetto a Trump, costretto ad assumere una posizione ostile a Putin dal Pentagono e dal Russiagate, Biden ha una posizione molto più dura nei confronti di Mosca. Così come ce l'aveva il suo ex capo Obama. Non è un caso che proprio dal Baltico, la zona più esposta all'assertività russa, sia partito il possibile processo di disgregazione del meccanismo 17+1. Una decina di giorni fa, infatti, la Lituania si è ritirata dal gruppo, invitando i partner a fare lo stesso per gli intenti "divisivi" di Pechino.

LA VERA PREOCCUPAZIONE DI BIDEN E' LA CINA

Ma, nonostante quelle che saranno le parole ufficiali durante gli incontri del G7 e della Nato, non è Mosca la principale preoccupazione di Biden, bensì Pechino. Già da tempo gli Stati Uniti cercano di bloccare la presenza cinese in alcuni settori ritenuti sensibili, in primis lo sviluppo delle infrastrutture di rete del 5G. L'iniziativa del Clean Network ha visto già diverse adesioni tra i paesi europei, e la presenza dei colossi cinesi come Huawei e ZTE nello sviluppo del 5G dei vari paesi europei è diminuita.

IL PRESSING SUL 5G CINESE E LE MOSSE DELL'ITALIA

In particolare l'Italia è stata oggetto del pressing americano, che ha di fatto stralciato il capitolo relativo alle telecomunicazioni nel memorandum of understanding di adesione alla Belt and Road Initiative, firmato il 23 marzo 2019 durante la visita di Xi Jinping a Roma. Il primo atto del governo Conte bis è stato, non a caso, l'estensione del golden power alle telecomunicazioni e proprio al 5G, estromettendo (ma solo implicitamente) le aziende cinesi dallo sviluppo delle reti.

CON DRAGHI L'ITALIA CHIUDE ALLA CINA

L'atteggiamento di chiusura nei confronti di Pechino è aumentato con il governo Draghi, che ha imposto il golden power anche sull'acquisizione di una piccola azienda di semiconduttori (la Lpe di Baranzate, provincia di Milano) da parte di realtà cinesi, nonché dei furgoni di Iveco. Il tutto mentre sul programma spaziale veniva stracciato (già sul finire del 2019) un accordo con Pechino e se ne avviava uno nuovo con Washington.

LA CORTINA DI FERRO TECNOLOGICA DI BIDEN: IL NODO DELLE BATTERIE

Una vera e propria retromarcia. Ma Biden non si accontenta delle telecomunicazioni e vuole un'alleanza a 360 gradi sul comparto tecnologico, fondamentale per decidere i futuri equilibri geopolitici globali. Un tema cruciale della sua missione sarà dunque quello delle batterie, su cui gli Usa soffrono di un fortissimo ritardo rispetto a Pechino. Basti pensare che a oggi in Cina sono attive 93 gigafabbriche che producono batterie al litio di ultima generazione, contro le 4 degli Stati Uniti. Biden cerca il sostegno della European Battery Alliance, un consorzio lanciato anni fa con lo scopo di sviluppare la produzione autoctona di batterie. 

LA MANO DI PECHINO SUI PORTI EUROPEI

Altro tema che sta molto a cuore a Washington è quello delle infrastrutture ritenute sensibile, in primo luogo i porti. La presenza cinese sugli scali portuali europei è fortissima. Le aziende di Pechino, in primis Cosco (China Ocean Shipping Company) e China Merchants Group International (che gestisce 15 terminal in otto diversi nazioni europee) hanno investito oltre 5 miliardi di euro in 10 scali commerciali marittimi (e ferroviari) del Vecchio Continente. 

LA MAPPA DEI PORTI "CINESI" IN EUROPA. C'E' ANCHE VADO LIGURE

La mappa dei porti con capitali cinesi include Rotterdam (35% in mano a Cosco Shipping), Anversa (25% di Cosco Pacific), Zeebrugge (76% di Cosco Shipping), Bilbao (49% di Cosco Shipping), Valencia (49% di Cosco Shipping), Marsiglia (49% di China Merchant Group), Pireo (35 anni di gestione a Cosco Pacific). E poi c'è anche l'Italia, con il container terminal di Vado Ligure di cui Affaritaliani ha parlato più volte, col 40% di Cosco e il 9,9% di Qingdao Port International.

COSCO TRATTA PER AMBURGO, SULLO SFONDO IL PORTO DI TRIESTE

Una presenza già fortissima che la Cina ora intende ampliare. Cosco sta infatti trattando per acquisire il 30-40% di uno dei terminal container dell'importante porto tedesco di Amburgo. E, ancora una volta, c'entra l'Italia. Sì, perché la compagnia di logistica Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), partecipata dall’ente amministrativo federale della città tedesca di Amburgo, ha concluso a gennaio un’operazione avviata a settembre per l’acquisizione del 50,01% della società triestina Piattaforma logistica Trieste.

L'accordo con Amburgo sembrava di fatto aver tolto Trieste dalle mire cinesi, visto che lo scalo della città giuliana avrebbe dovuto rientrare negli accordi sulla Belt and Road. Ma quello che sembrava un accordo che faceva tutti felici, sia l'Italia sia la Germania sia gli Stati Uniti, potrebbe rivelarsi un nuovo assist alla Cina. D'altronde, il presidente dell'Autorità portuale di Trieste Zeno D'Agostino, all'indomani dell'accordo con la tedesca HHLA, aveva affermato che si trattava di una “ottima soluzione per non rinunciare alla Via della Seta Sottolineo Via della Seta e non Belt and Road: il secondo è un progetto cinese, il primo è un corridoio trasportistico deciso dal mercato e non pianificato da nessuno che propone una soluzione europea. In questa, Amburgo e Trieste non sono soggetti passivi come accade quando si entra nella Belt and Road, ma sono soggetti propositivi che accettano la sfida".

Bisogna vedere però che cosa ne pensano gli americani, che ora arrivano in Europa per ricreare una nuova cortina di ferro tecnologica (che coinvolga però anche infrastrutture sensibili come i porti) con la Cina.