Brasile, con Lula in Sudamerica domina la sinistra. Ma Ue e Usa non esultino

Il clamoroso ritorno dell'ex presidente viene accolto con entusiasmo dalla sinistra europea. Ma la Casa Bianca sa che cambia poco nella linea estera del Brasile

Esteri

Che cosa significa il ritorno di Lula per Brasile, Usa ed Europa

Lula è tornato, viva Lula. La sinistra europea esulta per il clamoroso ritorno dell'ex presidente del Brasile che ha sconfitto a fotofinish in un incertissimo ballottaggio il presidente uscente Jair Bolsonaro. Un leader di sinistra al posto di un trumpiano. Basta per festeggiare, secondo molti. In realtà la faccenda è un pochino più complicata di così e la politica estera di Lula non sembra lasciar intravedere svolte clamorose da quella del tanto odiato predecessore.

Chi si ricorda il Lula in grado di fare da intermediario tra George Bush Junior e Hugo Chavez deve forse abbassare le aspettative e iniziare a comprendere le differenze della prima era Lula e il modo in cui nasce la seconda. Pur essendo lo stesso politico, Lula guiderà un Brasile molto diverso - e molto più diviso - rispetto a quello di cui ha assunto il controllo 20 anni fa. E questo avviene in un periodo di profonde difficoltà economiche.

Non solo, ma quando Bolsonaro si farà da parte la sua eredità rimarrà nel Congresso e nella politica regionale. Lula dovrà fare i conti con i legislatori conservatori in qualsiasi cosa voglia fare. Anche la retorica della campagna elettorale adottata da Lula è stata molto diversa da quella delle precedenti elezioni. A differenza del passato, quando si scontrava apertamente con le élite, questa volta il candidato del PT si è presentato come il candidato del sistema, come un "Biden brasiliano", per così dire, ponendo fine a una parentesi trumpiana.

Lula come Meloni, vince rassicurando

Ha raccolto un fronte straordinariamente ampio, che comprendeva quasi tutta l'opposizione di sinistra, ma anche i principali rappresentanti del potere economico di vari settori, socialdemocratici, liberali conservatori, l'ambientalista di sinistra Marina Silva, ex funzionari, come il liberale socialdemocratico Fernando Henrique Cardoso, e altri. La sua campagna non è stata dominata dalla mobilitazione di piazza.

Sebbene la sua coalizione avesse preparato un programma politico di sinistra, come sottolinea Al Jazeera Lula lo ha ignorato nei dibattiti, lo ha eluso nei discorsi agli elettori e ai media e ha sottolineato in diverse occasioni che non avrebbe assunto posizioni divisive, soprattutto per quanto riguarda i suoi piani per l'economia. Nel corso della campagna, ha costruito un'immagine di promotore della pace, indicando la necessità di risolvere i conflitti che si stanno moltiplicando all'interno e tra i diversi segmenti sociali. Insomma, un po' come fatto da Giorgia Meloni in Italia, la prima preoccupazione di Lula sembrava la seguente: rassicurare.

Chi si aspetta una svolta filo occidentale con Lula alla guida del Brasile potrebbe ricevere sorprese. Oltre alle immediate congratulazioni di Joe Biden sono arrivate anche quelle di Vladimir Putin e Xi Jinping. Il Brasile occupa infatti una poltrona all'interno dei BRICS, la piattaforma delle economie in vie di sviluppo che aveva raccolto successo fortissimo proprio durante la prima era di Lula. Joe Biden sa che Lula, nonostante una maggiore affinità politica rispetto a Bolsonaro, perseguirà gli interessi del Brasile e non ci si può aspettare che tronchi i legami con Mosca e Pechino.

Il difficile percorso per l'accordo Ue-Mercosur

In Europa si spera per esempio che Lula possa favorire la ratifica dell'accordo commerciale blocco a blocco con il Mercosur. I sostenitori dell'accordo non solo ritengono che sarà vantaggioso per le economie di entrambe le sponde dell'Atlantico, ma sottolineano anche che Bruxelles ha bisogno di un maggiore accesso alle materie prime critiche per la transizione verde e l'America Latina potrebbe essere una fonte alternativa alla Cina.

I Paesi hanno contrattato l'accordo per più di 20 anni e alla fine hanno raggiunto un accordo politico nel 2019. Ma il contraccolpo dell'opinione pubblica europea - dovuto alla dilagante deforestazione della foresta amazzonica brasiliana sotto Bolsonaro e al protezionismo della presidenza francese - ha spinto Bruxelles a congelare l'accordo. Tradizionalmente si ritiene che ora con Lula si possa riaprire il discorso.

Ma in molti osservatori avvisano che questo è tutt'altro che scontato. Soprattutto perché Lula vuole salvaguardare un maggiore "spazio politico" per il Brasile e rinegoziare i termini nei settori dei brevetti, dei servizi e degli appalti pubblici a favore dello sviluppo industriale del Brasile, ha detto Amorim. Lula ha anche fissato una scadenza per Bruxelles: "Se vincerò le elezioni, entrerò in carica e, nei primi sei mesi, concluderemo l'accordo con l'Unione Europea. Un accordo che tenga conto della necessità del Brasile di tornare a industrializzarsi", ha detto Lula il mese scorso.

Un messaggio che lascia presagire a Bruxelles il rischio di perdere alcune delle condizioni negoziali conquistate nel 2019. Insomma, in molti per ora esultano per la vittoria di Lula ma attenzione a dare per scontate cose che non lo sono.

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