Dopo la lite in tv con Fubini, scoppia il caso-Orsini: siamo alla russofobia?
Polemiche sul docente che espone tesi controcorrente: dopo quello di Dostoevskj e persino dei gatti russi, tira aria di maccartismo
Orsini-Fubini: che scontro a "Piazzapulita"!
Il Professor Alessandro Orsini è un accademico di livello, apprezzato anche all’estero e direttore dell'Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale dell’Università LUISS Guido Carli. Al grande pubblico non era particolarmente noto prima della sua partecipazione a “Piazzapulita”, nel corso della quale ha polemizzato duramente con Federico Fubini. Contrastando la tesi del vicedirettore de “Il Corriere della Sera”, secondo la quale Vladimir Putin è l’unico responsabile della guerra in Ucraina, Orsini ha esposto una tesi controcorrente. Pur riconoscendo a Putin la responsabilità bellica, ha addossato al blocco occidentale quella politica, per aver trascurato alcuni aspetti: "L'Ucraina sta alla Russia come il Messico e il Canada stanno agli Stati Uniti. Se il Messico si alleasse con Putin gli Stati Uniti distruggerebbero il Messico, o assassinando il suo presidente o favorendo una guerra civile oppure con uno sfondamento del confine facendo la stessa guerra che Putin sta facendo in Ucraina".
Quella di Orsini è una tesi controintuitiva, scomoda e persino urticante, ma proprio questo utile per arricchire il dibattito con l’elemento del dubbio, così carente in una situazione nella quale è molto più semplice aderire alla semplificazione “Russia mostro e Ucraina vittima”. Intendiamoci: non c’è dubbio su chi sia l’aggredito e chi l’aggressore, così come sul fatto che gli ucraini siano effettivamente le vittime del conflitto e che quindi vadano aiutati. Ridurre a questo la complessità di una compiuta analisi geopolitica su fatti così rilevanti è però un delitto. Ben vengano voci dissonanti come quella di Orsini, che magari non avrà ragione su tutto (magari su niente), ma che almeno ci stimola a ragionare fuori dagli schemi precostituiti. A porci domande. Una decisamente difficile è quella sull’opportunità di riconoscere la vittoria di Putin in Ucraina che, secondo Orsini, servirebbe a limitare le perdite tra i civili.
La posizione della Luiss Guido Carli
L’università gli ha risposto con una nota ufficiale, nella quale ricorda di avere “espresso piena solidarietà al popolo ucraino che, da giorni, difende coraggiosamente il proprio diritto alla democrazia e all’autodeterminazione sancito dai trattati internazionali” e che quindi “reputa fondamentale che, soprattutto chi ha responsabilità di centri di eccellenza come l’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, debba attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e dell’evidenza storica, senza lasciar spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’intero Ateneo”.
Da ben prima che la guerra in Ucraina – e prima ancora il dramma del Covid – intervenissero a sclerotizzare le posizioni, viviamo nell’era della polarizzazione. Gli spazi per il dialogo tra opinioni diverse sono sempre più ridotti, perché tendiamo a schierarci su poli contrapposti in maniera acritica, come se fosse una partita di calcio o una nuova edizione dello scontro tra guelfi e ghibellini. Tutto ciò che suona come espressione dell’alterità, invece che incuriosirci, ci provoca fastidio, al quale reagiamo in maniera aggressiva. Talvolta anche censurando, proprio come fa in Russia quel Putin del quale (giustamente) stigmatizziamo il carattere antidemocratico.
Quando le sanzioni sfociano nel ridicolo
Si è discusso molto in questi giorni delle sanzioni applicate dalla comunità internazionale alla Russia e dell’opportunità di colpire anche aziende, singoli cittadini e persino sportivi che con la guerra non c’entrano assolutamente nulla. Purtroppo è un male necessario: solo isolando la Russia dal contesto di un mercato sempre più globale si stimolerà quella reazione dall’interno che potrebbe evitare di estendere il conflitto all’esterno, con esiti incontrollabili. Non a caso, oltre alla gente comune che sta coraggiosamente manifestando la sua contrarietà alla guerra, chi dalla Russia parla di pace con la voce più forte è il colosso petrolifero Lukoil, che ha ovvi interessi nelle sue relazioni internazionali.
Bisogna però saper discernere. Un conto è cercare di chiudere Putin in un recinto nel quale non abbia possibilità di movimento, ben altro è farsi prendere da autentici attacchi di “russofobia” come quelli che hanno portato l’Università Bicocca a sospendere il corso di Paolo Nori su Dostoevskj (salvo poi cambiare idea per l’indignazione generale) o persino a escludere i gatti russi dagli eventi internazionali. A causare questi scivoloni non è solo la polarizzazione, ma anche l’ansia comunicativa che ci fa sentire in dovere di prendere posizione su tutto, sempre e in tempo reale. Vale anche per alcuni brand che hanno cercato di fare real time marketing sulla questione-Ucraina, con risultati non sempre brillanti (ne abbiamo parlato in questa intervista a Riccardo Pirrone). Si rischi di fare figuracce mediatiche o, peggio, di precipitare in una nuova e grottesca versione del maccartismo dell’America di 70 anni fa, quando la commissione diretta dal senatore Joseph McCarthy metteva al bando intellettuali ed artisti per il solo sospetto che avessero simpatie filorusse. Per questo mi auguro di rivedere presto Alessandro Orsini in televisione, di ascoltare un parere certamente più informato del mio, seppure con il diritto e il dovere di non essere per forza d’accordo con lui.
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