Draghi sempre più anti cinese: golden power sulla cessione di Robox
SuperMario esercita per l'ennesima volta il veto su un accordo tra un'azienda italiana e una cinese. Il premier lavora ai fianchi Biden per la poltrona Nato
Draghi sempre più anti cinese: stop all'aumento delle quote cinesi nell'italiana Robox
La seta è sempre più stropicciata. L'Italia di Mario Draghi chiude i cancelli alla Cina, non solo politicamente ma anche economicamente. E dire che poco più di tre anni fa con la firma dell'adesione del governo Conte I alla Belt and Road Initiative sembrava che le relazioni tra Roma e Pechino fossero destinate a una golden era. E invece di golden è rimasto il power, il potere di veto esercitato per l'ennesima volta dall'esecutivo di SuperMario per bloccare acquisizioni di aziende italiane da parte di aziende cinesi.
L'ultimo episodio, infatti, è quello in cui il governo Draghi ha utilizzato il golden power per bloccare la cessione di tecnologia robotica dall'italiana Robox, con sede in provincia di Novara alla cinese Efort. L'accordo avrebbe comportato anche l'aumento dal 40 al 49% della quota di capitale di Robox detenuta da Efort Intelligent Equipment. Il governo italiano non ha sollevato obiezioni sull'incremento della quota, ma ha bloccato la cessione di tecnologia robotica verso la Cina.
A livello politico esultano diversi partiti. A partire, ovviamente, dalla Lega che dal post Papeete in poi è schierata su forti posizioni anti cinesi. "Bene l'utilizzo del golden power da parte del governo Draghi per bloccare aumento partecipazione cinese in Robox", ha detto per esempio l'europarlamentare della Lega Marco Dreosto. "L'industria strategica italiana, come quella della robotica, deve mantenere una sua indipendenza ed è necessario che lo Stato italiano faccia di tutto per allontanare mani di Pechino dai settori strategici nazionali, come quello della robotica. Il governo italiano - anche grazie all'apporto del ministro leghista Giorgetti - ha finalmente riallineato e riposizionato l'Italia con i partner e alleati storici occidentali e gli attestati di credibilità e stima ricevuti da Washington in queste settimane ne sono la certificazione più importante".
Ma anche il Partito democratico, che un tempo era molto favorevole a stringere i rapporti commerciali con la Cina, dimostra soddisfazione. "Si tratta di una misura importante per la sicurezza nazionale che va apprezzata, e che dimostra da un lato la validità dello strumento giuridico di tutela creato in questi anni e dall'altro l'esigenza di mantenere sempre alto il livello di attenzione" ha detto per esempio Enrico Borghi, responsabile sicurezza della segreteria nazionale Pd e membro del Copasir.
Perché Draghi blocca l'affare su Robox
Ma che cos'è esattamente Robox? L'azienda ha sede a Castelletto Ticino, comune di poco meno di 10.000 abitanti in provincia di Novara. Opera nel settore della progettazione e della produzione di apparecchiature elettroniche, linguaggi di programmazione, ambienti di sviluppo per la robotica, per il controllo numerico delle macchine utensili, in generale per il controllo del movimento, per la quale il governo ha utilizzato la golden power per bloccarela cessione di licenze sulla tecnologia robotica nell'ambito di un annunciato aumento della partecipazione della cinese Efort Intelligent Equipment nell'azionariato di Robox.
Nel consiglio di amministrazione siede anche un rappresentante dell'azionista cinese. Come raccontato da Formiche, per l’operazione il gruppo cinese aveva messo sul piatto 2 milioni di euro. Inoltre, intendeva spendere 1 milione di euro per un accordo di licenza tecnica per accedere a codici sorgente e file. D'altronde Draghi ha impresso sin dall'inizio una svolta euroatlantica a Palazzo Chigi, estendendo l'utilizzo del golden power per fermare l'acquisizione di aziende italiane da parte di entità cinesi e ha anche promesso di esaminare con attenzione l'accordo sulla Belt and Road.
Prima di Robox, il golden power era stato utilizzato per esempio nel settore dello sviluppo delle infrastrutture di rete 5G, ma anche sulla piccola azienda di semiconduttori di Baranzate, la Lpe. Nonché aveva paventato di fare la stessa cosa sui furgoni Iveco cercati dal colosso cinese Faw, che in precedenza aveva investito circa 1 miliardo nella motor valley emiliana. Draghi sta infatti lavorando ai fianchi Joe Biden, mostrandosi un alleato fedele alla ricerca della possibile nomina a leader della Nato.
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