Erdogan minaccia Israele, la Nato rischia l'implosione. Parsi: "Gaza? Il mondo musulmano freme"
Cresce il pericolo di un allargamento del conflitto dal Medio Oriente all'Occidente. Intervista al politologo Vittorio Emanuele Parsi
Erdogan minaccia Israele, la Nato rischia l'implosione. Parsi: "Gaza? Il mondo musulmano freme"
Una nuova deflagrazione si prospetta sul fronte medio-orientale, che potrebbe avere conseguenze mondiali. Il presidente turco Erdogan ha nei giorni scorsi evocato la possibilità che la Turchia possa occupare Israele: "Come siamo entrati nel Karabakh e in Libia, potremmo fare lo stesso con loro. Niente è impossibile. Dobbiamo essere forti per fare tali passi". Secondo il canale televisivo Halk, in questo modo il leader turco ha ribadito la sua disponibilità a sostenere la Palestina con qualsiasi mezzo. "Erdogan segue le orme di Saddam Hussein e minaccia di attaccare Israele. Lasciategli solo ricordare cosa è successo lì e come è finita" ha replicato il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz.
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Solo parole? Sicuramente un’ulteriore escalation negli scontri militari nella regione potrebbe finire fuori controllo e provocare altri danni e lutti dolorosi in un'area colpita da un conflitto che andrebbe al contrario totalmente disinnescato. Ma non solo, perché porterebbe la dimensione del conflitto a un altro livello, incontenibile e mondiale. Per capire le implicazioni, non solo semantiche, delle parole dei leader turco e israeliano Affaritaliani.it ha interpellato Vittorio Emanuele Parsi, professore e politologo.
Professore, secondo Lei qual è la portata delle affermazioni di Erdogan?
Sono affermazioni molto dure, inusuali anche per Erdogan, che rischiano di gettare benzina sul fuoco. Anche se dal punto di vista del presidente turco ci sono quasi 40 mila palestinesi uccisi a Gaza, e centinaia di persone uccise in Cisgiordania.
Per la verità io non penso possano esserci conseguenze concrete. Ma è chiaro che se Erdogan dovesse dar seguito a minacce del genere, questo comporterebbe una gravissima crisi non solo in Medio Oriente, ma anche nei rapporti tra Turchia, Europa e Stati Uniti, oltre che all’interno dell’Alleanza.
Ci sono altri interessi per la Turchia nell’attaccare Israele, oltre la difesa dei Palestinesi?
Bisogna sempre ricordarsi che l’AKP è un partito islamista, vicino alla galassia della fratellanza musulmana, così come Hamas. Per partiti con questa ispirazione la motivazione della solidarietà religiosa non è da ridere. Dopo 40 mila palestinesi assassinati è evidente che il mondo musulmano sta fremendo.
Prima Lei ha parlato dell’Alleanza atlantica. Come reagirebbe la Nato a fronte di una mossa simile della Turchia?
Non c’è una reazione standard, anche perché la Nato è un’alleanza difensiva. E se Israele attaccasse, reagisse alla Turchia sarebbe una reazione all’attacco dei turchi, quindi Erdogan sa che non potrebbe aspettarsi nessuna solidarietà dai paesi della Nato. Ma è chiaro che se si arriva a uno scenario anche solo vicino a questo tutta la questione del faticoso mantenimento della Turchia nella Nato, che negli anni ha dimostrato di avere un avventurismo in Asia, si acuirebbe in uno stato di oggettivo disallineamento rispetto agli alleati occidentali.
A quel punto per Erdogan sarebbe pronto ad allearsi con Iran e Libano?
Il Libano è un paese completamente devastato, sicuramente non pensa ad allearsi con nessuno. La Turchia e l’Iran invece sono già allineati. Sarebbe interesse di Israele evitare di ridestare questo allineamento? A me pare che Netanyahu sia solo interessato a garantirsi il suo futuro politico. E sia convinto che un allargamento del conflitto possa portargli bene politicamente. Lui si comporta come un pericoloso criminale, e non a caso ha un mandato di cattura internazionale.
Anche la risposta di Israele che richiama quanto successo a Saddam Hussein è tutt’altro che pacifica...
È una risposta che ovviamente non serve ad abbassare i toni. Il ministro israeliano dovrebbe ricordare però che nella guerra del 1990-1991 fu la coalizione occidentale ad occuparsi di Saddam, e che Israele non reagì al lancio dei missili sul suo territorio proprio per evitare che la coalizione anti-Hussein restasse in piedi.
È un ricordo inconsistente dal punto di vista del parallelismo storico.