Gaza: The day after. Netanyahu smantella il gabinetto di guerra, ma...
Tre ipotesi sugli scenari possibili di Gaza e della Cisgiordania
Netanyahu smantella il gabinetto di guerra per mettersi al riparo dagli estremisti ma il futuro è sempre più un puzzle inafferrabile
Il piano “Due popoli e due stati” è simile a un inafferrabile puzzle. Un’impresa sempre più difficile, se non impossibile, tanto quanto la “Grande Israele”. Un sogno innaffiato col fiume di sangue dalla resistenza dei profughi palestinesi, disposti a immolarsi uno dopo l’altro con le loro famiglie, pur di non cedere all’odio del Golem che - ormai è chiaro a tutto il mondo-, ha fra i suoi obiettivi il loro annientamento. Obiettivo osceno, oltre che illecito, e irrealizzabile per tutta una serie di motivi. Innanzi tutto, nell’era delle interconnessioni globali e dei Social media la verità, malgrado gli sforzi ciclopici per occultarla, non puoi nasconderla. Ne consegue che non puoi cancellare oltre due milioni di esseri umani dalla faccia della terra, anche se il mondo ti permette di sganciargli addosso 70mila tonnellate di missili, bombe e altri esplosivi, che ne sterminano oltre 37.000, la metà dei quali sono bambini, e ne feriscono oltre 85.000. Per fortuna, miliardi di sguardi sempre più vigili sono puntati su Israele. Centinaia di milioni di persone, consapevoli quanto il re e i suoi cortigiani siano nudi, ogni giorno da mesi sfidano censure bulgare e narrazioni da regime denunciando senza sosta lo sterminio in corso a Gaza nei Territori occupati della Cisgiordania.
Non puoi nemmeno pensare di deportarli in massa, i palestinesi, come l’estrema destra messianica israeliana vorrebbe fare. Tralasciando il piano delirante di Smotrich, illustrato nel dettaglio in un precedente articolo, a riprova di questa patologica intenzione, ieri pomeriggio due membri della Knesset, Limor Son Har-Melech (Otzma Yehudit) e Zvi Sukkot (Sionismo religioso), hanno annunciato che stanno creando una "lobby per il ritorno degli insediamenti nella Striscia di Gaza" con lo scopo di "prevenire la continuazione delle minacce terroristiche e scoraggiare il nemico", leggasi: ebraizzare anche quelle spiagge. Esattamente quello che la “madrina” dei coloni ultraortodossi, Daniella Weiss, ha promesso di fare. E sempre ieri Netanyahu ha annunciato lo smantellamento del gabinetto di guerra. Scelta forzata dalle dimissioni dal Governo, oltre che dal gabinetto, dei deputati Benny Gantz e Gadi Eisenkot, e che deve aver a che fare con l’intenzione di entrarne a far parte espressa sia dal ministro delle finanze ultranazionalista-religioso Bezalel Smotrich, sia dall’altrettanto fondamentalista estremista ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, fautori della cancellazione di Gaza. Secondo quanto riferisce i24News, è possibile che Netanyahu continuerà a consultare privatamente Gallant, Dermer e Deri; modalità che, oltre al controllo totale, gli consentirebbe di continuare a escludere Ben-Gvir e Smotrich dalle delicate discussioni sulla sicurezza, salvando così la faccia almeno con gli alleati, soprattutto gli Stati Uniti.
C’è poi un altro fattore di non trascurabile importanza. I palestinesi, che in questi giorni festeggiano l’Eid al-Adha, ovvero la “festa del sacrificio”, la festa religiosa più importante per i mussulmani dopo quella di fine Ramadan, malgrado l’apocalisse quotidiana, stanno dimostrando una resilienza e una resistenza che pochi di noi avrebbero. E in mezzo alla devastazione, immersi in un solo giorno senza termine gravido di morte, a Gaza la festeggiano, anche in mezzo alle macerie. Molti di coloro che, con quel poco che hanno, stanno ai fuochi delle cucine da campo improvvisate hanno perso tutto, compresi i loro familiari, eppure cucinano per tutti. Il dolore unisce. Il dolore rafforza. Il dolore, per chi sopravvive, è linfa che nutre la speranza che un giorno migliore sia alle porte. E grazie a questa robusta e invincibile volontà, di fronte al Golem sterminatore non arretrano e piuttosto sono disposti a diventare tutt’uno col suo fango. Perché in quella terra di Palestina i morti non sono semplicemente tali, sono martiri, dunque testimoni. Pietre d’inciampo e di scandalo per i loro carnefici. Per una strana e trascurata simmetria della Storia, Gaza è la città dove Sansone, poco prima di far crollare l’edificio nel quale si trovava con tutti i suoi nemici, pronunciò la celebre frase “Che io muoia con tutti i filistei!”. La Bibbia racconta che quella casa “era piena di uomini e donne; vi erano tutti i capi dei Filistei”, e sul terrazzo circa tremila persone “guardavano Sansone mentre faceva giochi”. A distanza di millenni, in quello stesso luogo dove lui si “curvò con tutta la sua forza” e fece “più morti di quanti ne aveva uccisi in vita” si sta consumato lo stesso tragico destino fra ebrei e filistei. Quello di chi, pur di compiere la sua vendetta, è più o meno consapevolmente disposto ad andare incontro alla medesima sorte delle sue vittime.
Per 76 anni, Israele ha avuto come scudo protettivo una narrativa più solida di qualsiasi Iron Dome. Una insindacabile narrazione in base alla quale “l’autodeterminazione degli ebrei post-Olocausto non era semplicemente una necessità, ma un imperativo morale” categorico. Fin dal principio, i mezzi per attuarla hanno beneficiato dell’immunità di giudizio e a Israele è stato concesso di porsi al di là del diritto internazionale. Su queste basi, gli è stato consentito di avere confini indeterminati, unico caso al mondo; gli è stato permesso di occupare e insediarsi nelle aree che ha occupato; di attaccare regolarmente e preventivamente i suoi vicini; di avere armi nucleari al di fuori del controllo di qualsiasi autorità di regolamentazione; di praticare un violento e crudele regime di apartheid nei confronti dei nativi palestinesi; e da un po’ di tempo a questa parte non si contano nemmeno più gli atteggiamenti ostili nei confronti di tutte le minoranze non ebraiche, compresa quella cristiana. Malgrado questo, Israele è stato accolto e coccolato nella famiglia delle nazioni che si definiscono democratiche. Per 16 anni, col supporto e l’avvallo della comunità internazionale, gli è stato permesso di assediare Gaza trasformandola nel più gigantesco e infame ghetto del pianeta; gli è stato concesso di affamare i suoi abitanti, di controllarne regolarne l’esistenza, privandoli di ogni libertà, persino quella di poter ricevere alcuni medicinali con la generica e illogica scusa dei “motivi di sicurezza”. Come possono i kit per gravidanza o qualunque altro medicinale rappresentare un pericolo? Le poche voci che hanno provato a mettere in discussione il credo secondo cui questo stato violento avesse il diritto di fare tutto quello che voleva si sono trovati isolati e, non di rado, denunciati per antisemitismo.
Per 76 anni Israele ha avuto letteralmente licenza di uccidere. Licenza messa in discussione per la prima volta dal Tribunale Internazionale di Giustizia il 26 gennaio 2024 e dalla Corte Penale Internazionale il 20 maggio 2024. Il procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI), Karim Khan, ha fatto molto di più che richiedere mandati di arresto per il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant. Il pubblico ministero della CPI ha sfatato il mito secondo cui qualsiasi leader, funzionario o soldato israeliano possa essere al di sopra della legge e al di fuori della portata del diritto internazionale. Netanyahu aveva ragione a innervosirsi per le conseguenze che una simile richiesta avrebbe potuto avere, che in effetti sono di vasta portata: perché comunque vada, la richiesta di Khan ha scoperchiato il vaso di Pandora di Israele, rivelando al mondo il suo vero volto. Netanyahu e gli Stati Uniti hanno definito “oscena” la richiesta avanzata da Khan, dettata dall’antisemitismo del Procuratore generale e della Corte tutta. Tanto che la Camera Bassa statunitense ha subito provveduto a chiedere sanzioni volte a “tagliare le ali” ai giudici sfrontati e irrispettosi delle regole non scritte che vogliono questi consessi, le Corti, pensati e destinati a trattare i casi del Terzo Mondo, non certo quelli dei Paesi democratici occidentali. Ma osceno è in verità il massacro che Israele sta perpetrando a danno dei nativi palestinesi e osceno è chiunque lo supporti, sia direttamente che indirettamente.
Per ionia della sorte, e sommo di sventura, supponendo che la camera preliminare accetti la richiesta di mandato d’arresto presentata dal procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant non saranno mai processati presso la Corte penale internazionale dell'Aja. Israele non è un firmatario dello Statuto di Roma che conferisce alla corte i suoi poteri giurisdizionali. Finché non si recheranno in un paese firmatario, sono al sicuro dall'arresto.
Tre ipotesi sugli scenari possibili di Gaza e della Cisgiordania
Tutto ciò premesso, dal momento che la condizione di belligeranza di Israele potrebbe anche protrarsi indistintamente e indefinitamente, anche nei prossimi anni e decenni, volendo ragionare sulle ipotesi che si possono fare sugli scenari futuri a seguito dello sterminio di proporzioni apocalittiche e industriali compiuto dagli israeliani contro i palestinesi di Gaza, tutt’ora in corso, possiamo formulare tre ipotesi di base:
1) una sostanziale continuità con la politica geostrategica attuale, con o senza il governo Netanyahu ed i suoi eccessi criminali, e con o senza suoi eventuali eredi politici e militari. Persino con una messa sotto accusa o addirittura arresto di Netanyahu lo schema di fondo della leadership ipersionista israeliana (ed americana) potrebbe restare saldamente al potere, lasciando sostanzialmente aperte tutte le questioni senza trovare soluzioni minimamente risolutive.
2) Il trauma collettivo di una guerra senza sbocchi e l'isolamento internazionale, potrebbero portare ad una vera crisi di governo, nonché della società israeliana, che portasse la parte più ragionevole dei vertici IDF ad instaurare un governo che avviasse delle trattative concrete. A quel punto si porrebbe il bivio, anzi il trivio: lasciare Gaza e la Cisgiordania in mano ai palestinesi, ai quali andrebbe tuttavia infusa una massiccia dose di senso organizzativo e disciplina; optare per un vero Stato palestinese in Cisgiordania in cambio di una Gaza ad Israele e in cambio del trasferimento entro i confini israeliani degli oltre 800.000 coloni ebrei presenti in Cisgiordania; oppure una soluzione compromissoria, se non addirittura un’ulteriore spallata alla autorità palestinese in Cisgiordania, fingendo di costituire uno Stato palestinese solo a Gaza. Una ulteriore ipotesi di Stato palestinese totalmente autonomo e non smilitarizzato sarebbe certamente una possibilità suggestiva, ma fino a che punto realistica? Un vero e proprio Stato palestinese armato sarebbe in tal caso ancora più improbabile, sia per gli interessi strategici israeliani ed occidentali, che per quelli dei paesi arabi.
3) la conflittualità tra estremisti ultrareligiosi e ipersionisti, falchi sia dentro le Forze Armate che nella società, e soprattutto tra coloni ultraortodossi che vengono mandati con un preciso scopo espansionista, destre estreme ed anche moderate ed il resto della società israeliana, compresi i milioni di arabi israeliani con cittadinanza e senza, potrebbe addirittura generare una guerra civile dagli esiti imprevedibili. La società israeliana è ormai permeata nella sua maggioranza, se non veramente nella sua totalità (anche se, non dimentichiamolo, la componente progressista e anti-Netanyahu è in forte ascesa) da un militarismo senza più remore morali, forgiato certamente con maggiore vigore negli ultimi decenni, ma in realtà ontologicamente presente fin dalla fondazione dello Stato ebraico.
Nell’inafferrabile puzzle dispiegato sotto i nostri occhi si nasconde un’altra complicazione: Israele è affetto da una peculiare forma di psicopatia collettiva. Come ben scrive lo studioso francese Laurent Guyénot, i “Sionisti, anche i più sanguinari, non sono psicopatici a livello individuale; all’interno della loro comunità sono persone affettuose e persino altruiste. Sono piuttosto i vettori di una psicopatia collettiva, cioè di un modo particolare (che potremmo definire non-umano) attraverso cui vedono e interagiscono collettivamente con le altre comunità umane”. Questo, scrive sempre Guyénot, “è un punto cruciale, senza il quale non potremo mai capire Israele. Chiamare psicopatici i loro leader non serve a nulla. Quello che dobbiamo fare è riconoscere Israele come un’entità affetta da una psicopatia collettiva e studiare l’origine di questo carattere nazionale unico nel suo genere. È una questione di sopravvivenza per il mondo, così come è una questione di sopravvivenza per qualsiasi gruppo di persone riconoscere lo psicopatico tra di loro e capire i suoi modelli di pensiero e di comportamento”.
Sicuramente, mentre in Europa la decadenza socioeconomica e la lenta diluizione della democrazia e dello Stato sociale provoca reazioni fiacche e timide, la società israeliana, armata in quasi ogni sua componente, potrà rappresentare un elemento di propulsione in avanti, seppur drammatico, anche per la società occidentale nel suo complesso. Ciò che è prevedibile, nell’impossibilità di dar certezze di sorta, è che gli anni Venti di questo primo secolo del Duemila saranno il prodromo per ulteriori e più gravi conflitti, forse a venire negli anni Trenta come cento anni fa. Anche in questo i religiosi pacifisti, pur in buona fede, non ci azzeccano mai: l'animale rimane tale. E non verrà l’Intelligenza Artificiale a salvarci da noi stessi anzi, forse verrà a farci fuori, con noi stessi come mandanti. Ma è anche vero che un secondo prima di scatenare il mondo distopico dei TERMINATOR (o più semplicemente di una Terza guerra mondiale, se non proprio nucleare anche solo convenzionale), ci si può sempre fermare a pensare che non sia proprio una buona idea scatenare la guerra. In Palestina, in Ucraina, nel Baltico, in Africa, a Taiwan. In realtà, salvo rare eccezioni, una buona idea non lo è praticamente mai.