Guerra, Israele in cul de sac politico. Iran, orizzonti di crisi in vista

Mentre continua la strage a Gaza si delineano altri drammatici orizzonti di crisi

di M. Alessandra Filippi
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Gaza, la pervicace banalità del male: mentre continua la strage si denineano altri orizzonti di crisi

Israele è in cul de sac politico, non ha un progetto strategico per il futuro, ed è ostaggio di una maggioranza di fanatici sionisti i quali, sventolando la Bibbia, delirano di promesse fatte direttamente da Dio e di terre assegnate loro per comando divino. Ci provano da un po’ ad attizzare guerre ovunque, sperando di venir fuori dall’imbuto senza uscita nel quale si sono cacciati. Il tentativo col quale ci sono andati più vicini è il bombardamento chirurgico del 1° aprile scorso che ha raso al suolo il consolato iraniano a Damasco. Una violazione del diritto internazionale senza precedenti che, oltre a polverizzare l’edificio, ha provocato 13 morti, tra cui il generale iraniano Mohammad Reza Zahedi, e altri sei membri delle Guardie Rivoluzionarie, l’esercito ideologico dell’Iran. Un attacco con il quale Israele ha superato ogni limite imposto dalle regole d’ingaggio.

In questo già complicato scenario, ieri si è aggiunto il drammatico incidente aereo nel quale ha perso la vita il presidente iraniano Ebrahim Raisi. L’elicottero sul quale viaggiava, in compagnia ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian e diversi altri funzionari, è stato ritrovato carbonizzato alle prime ore dell’alba di oggi, sulle montagne vicino al confine con l'Azerbaigian. C’era una nebbia che si tagliava col coltello e le condizioni meteo erano pessime nell’area in cui si è verificato il disastro. Tuttavia gli elicotteri erano 3, viaggiavano insieme e 2 di loro sono arrivati.

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Il dubbio, Dio non voglia, che non si sia trattato di un incidente ma di un attentato serpeggia da quando è apparsa la notizia. Al punto che già ieri sera, alle 20:39, sulla home page della più letta e diffusa testata israeliana, Yediot Ahronoth, compariva l’articolo dal titolo “Funzionari israeliani sospettano la morte di Raisi in un incidente in elicottero e negano il coinvolgimento”. Un antico proverbio medioevale, in latino recita Excusatio non petita, accusatio manifesta. Letteralmente vuol dire "Scusa non richiesta, accusa manifesta”, ovvero chi si scusa si accusa. C’è da augurarsi profondamente, nell’interesse dell’umanità, che si tratti di un tragico incidente. Se così non fosse, l’Iran sarebbe costretto a reagire. L’incidente diventerebbe un attentato, di una portata simile a quello di Sarajevo, la miccia che innescò la Prima Guerra Mondiale. E che oggi innescherebbe un conflitto dai contorni ed esiti imprevedibili. Soprattutto perché al tempo di Sarajevo non esistevano le bombe atomiche, oggi si.

Che la situazione in Israele sia confusa è suffragata dalla dichiarazione opportunista fatta sabato dal leader di centro Benny Gantz, il quale sembra voler sfruttare il momento di difficoltà del premier, che invece resiste alla grande grazie al supporto incondizionato del lato oscuro della forza.

Gantz ci aveva già provato a minacciare Netanyahu, il 4 aprile, due giorni dopo la strage dei sette operatori di World Central Kitchen, massacrati “involontariamente” dall’IDF. Quella volta ha evocato le elezioni generali proponendo di aprire le urne a settembre. Una mossa politica eclatante quanto inconsistente considerato che, oggi come allora, sa bene che non ha i voti necessari per far la differenza. Nella dichiarazione fatta alla nazione, Benny Gantz ha detto che “c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui alcuni leader israeliani stanno gestendo la guerra” e ha aggiunto che “lo Stato di Israele sta andando verso il baratro”, come se non fosse chiaro già a tutti, e che “una piccola minoranza di fanatici ha preso il timone”.

A parte il fatto che la minoranza è tutt’altro che piccola, il fatto è che Israele è ormai scisso, come uno psicopatico, in almeno due personalità. Come nel dottor Jekyll e Mister Hide, una piccola parte invoca e vuole la pace, mentre una sempre più larga fetta di estremisti impuniti vuole la guerra e lo sterminio dei palestinesi in nome della Bibbia. E questa maggioranza è quella che ha votato Netanyahu, ed è la stessa che ha sconfitto l’esigua e coraggiosa minoranza progressista che ha speso, invano, gli ultimi 50 anni “a cercare di fermare la violenza e il terrorismo contro i palestinesi da parte di questi ultranazionalisti ebrei”. Una vocazione alla pace minoritaria alla quale si deve quell’intramontabile e sempre valido “Documento Olga. Per la verità e la riconciliazione, per l’uguaglianza e il partenariato”, redatto nel 2004.

Quel documento, che potrebbe essere adottato oggi come modello per costruire invece che sterminare, si chiudeva così: “Stiamo parlando di una strada mai tentata finora: essere onesti con noi stessi, con i nostri vicini e soprattutto con il popolo palestinese, i nostri nemici che sono nostri fratelli e sorelle. Se raccogliamo dentro di noi la giusta onestà e il coraggio necessario, saremo in grado di fare il primo passo nel lungo viaggio che può districarci dal groviglio della negazione, della repressione, della distorsione della realtà, della perdita di direzione e dell'abbandono della coscienza, in cui il popolo di Israele è intrappolato da generazioni. Chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire sa che la scelta è tra altri "cento anni di conflitto".

Ora quei cento anni di conflitti sono realtà e in Israele l’illegalità è diventata legge suprema. Netanyahu lo ha già dimostrato: non ha paura di niente e di nessuno, perché sa che qualunque cosa abbia fatto, fa e farà resterà impunita. E questo è un precedente gravissimo e molto, molto pericoloso. Perché il bombardamento a tappeto della Striscia di Gaza e l’invasione di Rafah, in corso, hanno inaugurato uno sterminio umano su scala industriale mai visto nella storia. Uno genocidio perpetrato violando ogni trattato, ogni legge, ogni monito; portato avanti con luciferina spietatezza facendosi beffa di ogni organismo internazionale e trasformando, di fatto, gli Stati Uniti e l’intera comunità internazionale occidentale nel suo zimbello, complici sodali dei suoi crimini. Un precedente che può legittimare altri crimini efferati e derive disumane che noi oggi non siamo nemmeno in grado di immaginare.

Il discorso televisivo di Gantz arriva a tre giorni di distanza da quello del ministro della Difesa Yoav Gallant, membro del partito Likud del primo ministro, che ha fatto una denuncia simile alla sua. Pertanto, adesso Netanyahu si ritrova con due membri del gabinetto di guerra, il terzo è lui stesso, che in pubblico lo accusano di star portando “Israele al disastro”.

Gallant ha chiesto che Netanyahu dichiari pubblicamente che Israele non governerà Gaza in nessun modo. Gantz, da parte sua, ha chiesto a Netanyahu di impegnarsi su sei obiettivi strategici specifici per la nazione, e ha avvertito che il suo partito abbandonerà il governo se il primo ministro non lo farà entro l’8 giugno. Un congruo e generoso preavviso.

I sei obiettivi strategici indicati da Gantz sono: 1. Riportare a casa gli ostaggi; 2. Rovesciare il governo di Hamas, smilitarizzare la striscia di Gaza e ottenere il controllo israeliano della sicurezza; 3. Insieme al controllo israeliano della sicurezza, creare un meccanismo internazionale di governo civile per Gaza, comprendente elementi americani, europei, arabi e palestinesi, che servirà anche come base per una futura alternativa che non sia Hamas e non sia il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen; 4. Riportare i residenti del nord alle loro case entro il primo settembre e riabilitare il Negev occidentale (la regione attorno a Gaza direttamente colpita il 7 ottobre); 5. Far avanzare la normalizzazione con l’Arabia Saudita come parte di un processo globale volto a creare un’alleanza con il mondo libero e l’Occidente contro l’Iran e i suoi alleati; 6. Adottare un quadro per il servizio (militare/civile) in base al quale tutti gli israeliani serviranno lo stato e contribuiranno allo sforzo nazionale.

Tutte richieste impossibili. E Gantz, lo sa benissimo. Tutto è grottescamente tragicomico. Una farsa sul cui palcoscenico si alternano personaggi in cerca di sanità mentale, oltre che di autore.

Gantz chiede a Netanyahu, ad esempio, “di impegnarsi per una potenziale normalizzazione con l’Arabia Saudita”. Ma questo è condizionato dai sauditi, almeno in qualche progresso verso lo stato palestinese, e se Bibi lo accettasse, perderebbe i due partiti di estrema destra guidati da Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. Gli ha anche chiesto di adottare “un quadro per il servizio [militare/nazionale] in base al quale tutti gli israeliani dovranno servire lo Stato”. Ma a questo lodevole e necessario obiettivo si oppongono i due partiti ultraortodossi, i cui giovani elettori maschi sono quasi tutti attualmente esentati da ogni forma di servizio militare nazionale. E anche questi partiti abbandonerebbero la coalizione se Netanyahu insistesse nel reclutare i suoi elettori. Gantz sa tutto questo. Così come sa che Netanyahu può ignorare il suo ultimatum – come ha fatto con tutti quelli che mezzo mondo gli ha fatto - e continuare a favorire l’estrema destra e i partiti ultraortodossi.

Intanto, nelle ultime 48 ore, a Gaza l’industria della macelleria israeliana continua a tritare esseri umani a tutto vapore. Per dare una proporzione, in un solo attacco mirato contro una casa, nel campo profughi di Nuseirat, l’IDF ha ucciso più di 20 persone in un colpo solo, metà dei quali bambini. Vittime civili che si aggiungono agli oltre 100 palestinesi rimasti uccisi negli intensificati attacchi israeliani, aerei e terrestri, su tutta la Striscia di Gaza. Sono ormai oltre 900.000 i civili palestinesi sfollati con la forza da Rafah. E tutto questo accade mentre il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, è tornato nuovamente in visita in Israele. E mentre i bombardamenti infuriavano sulla Striscia, Jake Sullivan ha inoltre discusso con Netanyahu "della guerra a Gaza e della necessità di ridurre al minimo le vittime civili". La banalità del male si sta consumando di nuovo. E il centro d’interesse è qui. È adesso. È a Gaza.