Pasqua in Ucraina, la testimonianza dei City Angels: "Racconti da brividi"

Il fondatore e presidente Mario Furlan riporta la voce delle vittime ucraine: "Putin vuole conquistarci e continua a ucciderci e violentarci"

di Mario Furlan
Donne e bambini profughi ucraini in un centro d’accoglienza al confine polacco
Esteri
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Pasqua in Ucraina: l’esperienza di Mario Furlan con 10 City Angels

Dopo 17 ore di viaggio con un furgone e una jeep siamo arrivati a Krynica-Zdroj, in Polonia, dove si trova un centro di raccolta per profughi ucraini in fuga dalla guerra. Lì abbiamo incontrato Massimo Achini, Presidente del Centro Sportivo Italiano, e la sua fidanzata Valeria, che si sono uniti a noi. E lì è arrivato il camion di Aldieri Trasporti, carico dei 18 quintali di merce raccolta un mese prima davanti al Memoriale della Shoah. Si tratta di generi alimentari a lunga conservazione, bibite, prodotti per l’igiene, cibo e pannolini per bambini, power banks, torce: tutto ciò che serve sia ai profughi fuggiti in Polonia, sia agli ucraini che sopravvivono nelle zone martoriate dalla guerra.

In Polonia abbiamo incontrato soprattutto mamme e bambini rifiguati. Gli occhi delle donne erano pieni di terrore. Abbiamo chiesto loro cosa avessero visto; alcune non riuscivano a parlare, sopraffatte dalle lacrime. I loro uomini sono rimasti a casa, a combattere. E rischiano la vita quotidianamente. Come chiunque viva in Ucraina, civili compresi: Bucha docet. Ho parlato con due donne in fuga da Bucha. Sapete, ho chiesto loro, che c’è chi mette in dubbio la veridicità del massacro? Dicono che si tratta di un set cinematografico, di una messa in scena. A queste parole si sono infuriate: è un’infamia, noi abbiamo perso amici e familiari nella strage!

Le testimonianze di chi ha subito l'invasione


I racconti delle profughe mettono i brividi. Una donna ci dice che sua figlia è stata stuprata dai russi e da allora di notte urla per gli incubi; altre che i russi si sono impossessati della loro automobile dopo averci disegnato sopra una grande Z, il simbolo dell’esercito invasore. Molte hanno riferito che i soldati di Mosca sono entrati in casa per fare razzia di tutto.

Queste persone hanno dovuto superare decine di posti di blocco per arrivare in Occidente. E a molti checkpoint i russi hanno ordinato di consegnare loro il telefonino, dopo averlo sbloccato. Sono andati a guardare i loro social, per capire le loro idee politiche. E se loro, o qualche loro contatto, aveva postato qualcosa contro il dittatore, o a favore dell’Ucraina libera, il telefono veniva spaccato o sequestrato. A volte erano botte. Guai, poi, se scoprivano che su Instagram sei follower del presidente ucraino Zelensky o di sua moglie: si rischiava l’esecuzione sul posto.

Storie raccapriccianti. Che abbiamo ascoltato anche a Leopoli, dove siamo andati a portare beni di prima necessità a Padre Ihor Boyko, rettore del seminario greco-cattolico che accoglie 64 rifugiati. Alla Messa, durata due ore, la chiesa era stracolma. Nella città la vita sembrava scorrere quasi normale, se non fosse per gli innumerevoli checkpoint, alcuni dei quali senza soldati, i molti militari per strada e le bandiere ucraine ovunque, accompagnate da esortazioni a resistere.

"Putin dice che siamo nazisti, ma chi si comporta da nazista è lui"

Vedendo noi City Angels in divisa, alcuni passanti ci hanno fermato per chiederci chi fossimo. Saputo che eravamo lì in missione umanitaria ci hanno ringraziato. E ci hanno pregato di aiutarli. Con beni di prima necessità, e anche con armi. Perché, hanno spiegato, noi vogliamo la pace. Ma Putin vuole conquistarci, e continua a ucciderci e violentarci. Come fai a dialogare con chi vuole solo schiacciarti, e continua a raccontare bugie, come ha fatto per settimane bollando come “isteria occidentale” il sospetto che il suo ammucchiare truppe ai confini fosse il prodromo dell’invasione?

Un quindicenne, sfollato da Kiev con madre e sorella, ci ha colpito per la lucidità del suo ragionamento: “Putin dice che siamo nazisti, ma chi si comporta da nazista è lui. Io non conosco nemmeno un nazista; ma conosco molti ucraini che, come me, preferiscono morire combattendo per la libertà piuttosto che vivere come sudditi del tiranno. Putin ci vuole sottomessi ad un governo fantoccio, come in Bielorussia; ma noi teniamo duro. Perché vogliamo che il nostro sacrificio apra le porte ad una nuova Ucraina, che abbia il suo posto in Europa. Noi ci sentiamo vostri fratelli, europei come voi. E anche i russi sono nostri fratelli. Non ce l’abbiamo con loro, ma con Putin. Anche loro sono sue vittime”.

A Leopoli abbiamo caricato sul nostro furgone Lilya, un’infermiera ucraina sposata con un anconetano. Si trovava da suo padre a Kherson, nel sud del Paese, quando è scoppiata la guerra. Ha vissuto 40 giorni sotto i missili, e altri dieci sotto l’occupazione russa. Con il terrore che i soldati potessero entrare in casa, ucciderli, violentarla. E’ riuscita, fortunosamente, a fuggire. E ad arrivare a Leopoli, da Padre Ihor, dopo tre giorni di viaggio. Ora è ad Ancona, con figlia e marito. Ma il figlio è rimasto a Kiev. E anche Lilya ci ripete: “Non dimenticatevi di noi”.

 

 

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