Scontro Usa-Cina, Pechino vuole prendersi anche l'America Latina. Ecco perchè

Se da un lato gli Stati sono sempre stati "paternalistici" con i paesi del Sud, ora la Pechino sta adottando una politica d'investimento più concreta

di Vincenzo Caccioppoli
Esteri

Sfida Usa-Cina, la nuova battaglia tra le due superpotenze si gioca in America Latina. Analisi 

Nel 2006, il generale Bantz Craddock, all'epoca comandante del comando meridionale delle forze armate statunitensi, o SOUTHCOM, responsabile delle operazioni in America Latina e nei Caraibi, ha testimoniato al Congresso sulle priorità militari di Washington nella regione. Le preoccupazioni per i "gruppi islamici radicali", tra cui al-Qaida, Hamas e Hezbollah, operanti in America Latina, sono state ben visibili e all'inizio della sua dichiarazione. A pagina 26 compariva un solo paragrafo sulla Cina e non si faceva menzione della Russia.

Il mese scorso, quando il generale Laura Richardson, attuale comandante del SOUTHCOM, ha presentato una dichiarazione di posizione al Congresso degli Stati Uniti, non c'era una sola menzione di al-Qaida, ISIS, Hezbollah o qualsiasi altro gruppo terroristico islamista. Invece, il documento, che dovrebbe riguardare l'America Latina, inizia discutendo di "Concorrenza strategica con la Repubblica popolare cinese: un decennio decisivo". La questione di come la politica degli Stati Uniti nella regione si rapporta alla Cina è intessuta in tutto il documento. Inoltre, un'intera sezione è dedicata alla sfida di contrastare l'influenza della Russia nella regione.

Lo scorso 11 Aprile il presidente brasiliano appena eletto Lula si è recato in visita ufficiale in Cina, accolto con tutti gli onori. Secondo Reuters, Lula Da Silva ha invitato il presidente cinese in Brasile: “Inviterò Xi Jinping a venire in Brasile, per un incontro bilaterale, per conoscere il Brasile, per mostrargli i progetti che abbiamo di interesse per gli investimenti cinesi”. In un’intervista ad un’emittente locale ha ribadito che sta progettando di “consolidare” il rapporto con la Cina. “Quello che vogliamo è che i cinesi facciano investimenti per generare nuovi posti di lavoro e nuove attività produttive in Brasile”, ha aggiunto Lula. Durante la visita, durata quattro giorni, il presidente brasiliano ha ventilato l’ipotesi di aderire alla “Belt and Road Initiative”, da cui il nostro paese dovrebbe presto sfilarsi.

Lo stesso Brasile ha firmato un accordo con l’Argentina per creare una moneta comune ( che dovrebbe chiamarsi Sur) che possa liberare i due paesi dal giogo del dollaro statunitense, che da decenni permette agli Stati Uniti di avere un importante mezzo di controllo sulle economie dei due paesi. La stessa Argentina, da qualche anno ha firmato un accordo con Pechino, per permettere che la Cina utilizzi una sua base in Patagonia per fini aerospaziali, cosa che chiaramente ha infastidito non poco il potente vicino a stelle strisce. L’Ecuador lo scorso anno ha chiesto al paese cinese di ridiscutere gli accordi sul debito che il paese ha contratto con Pechino, che ha legami fortissimi anche con Venezuela e Colombia.

Insomma sembra che la nuova battaglia tra le due grandi superpotenze si stia sempre più spostando verso il continente latino americano, ricco di materie prime e grandi spazi dedicati alle coltivazioni agricole, che fanno molto gola alla vorace economia cinese. Gli Stati Uniti sembrano poter fare ben poco per contrastare questo piano che sta proseguendo da oltre un decennio. E quello che da sempre viene considerato come un giardino di casa dagli Stati Uniti, sembra sempre più subire la forte influenza del “nemico” cinese. Con un'abile politica di prestiti ed aiuti, la Cina riesce a tenere sotto scacco paesi come Ecuador, Venezuela e Colombia, ma adesso sembra orientato ad allargare il proprio peso verso i due colossi Argentina e soprattutto Brasile. Non è un mistero che il presidente brasiliano Lula non veda di buon occhio la superpotenza americana, e non ha certo remore a farlo presente appena può.

Colombia Risk Analysis e Cifras & Conceptos hanno pubblicato la scorsa settimana un rapporto sulle relazioni e gli investimenti della Cina in Colombia che dovrebbe servire come punto di partenza per la ricerca in altri paesi dell'emisfero. Il rapporto si basava su interviste con dozzine di dirigenti d'azienda in tutto il paese e su un sondaggio di un campione rappresentativo di 1.200 colombiani per dipingere un quadro del sentimento pubblico nei confronti della Cina. In sintesi, i sondaggi e i sondaggi hanno rilevato che i leader aziendali colombiani e il pubblico in generale sono favorevoli a migliori relazioni con Pechino e maggiori investimenti cinesi. Il rapporto suggerisce che la Colombia e la Cina hanno rafforzato le loro relazioni economiche nell'ultimo decennio e che un'ulteriore integrazione è quasi inevitabile.

Ma mentre molti intervistati sono consapevoli delle sfide che vanno di pari passo con i progetti cinesi, tra cui la corruzione, la scarsa qualità del lavoro, le violazioni dei diritti dei lavoratori, le preoccupazioni sulla trappola del debito e la mancanza di protezione ambientale, il paese e il suo sistema politico non hanno affrontato completamente rivolgendosi a loro.

D’altra parte gli Stati Uniti negli anni hanno sempre adottato un atteggiamento assai paternalistico con i paesi dell’America Latina. La Cina, invece, ha adottato da subito un politica assai più concreta, proponendo investimenti ed aiuti in cambio dello sfruttamento delle risorse dei grandi paesi latino americani. Inoltre ha giocato un ruolo molto importante il sempre maggiore disinteresse nel fare il guardiano del mondo da parte degli Usa, cominciata con Barack Obama e proseguita con maggiore convinzione dal suo successore Donald Trump. Questo ha fatto sì che la Cina e in misura molto minore la Russia, potessero espandere la loro influenza prima in Africa, poi in Medio oriente ed ora in America Latina. La guerra in Ucraina nasce anche da queste premesse.

Il fatto che gli Usa abbiano cominciato a ripiegare in molte regioni dove avevano un ruolo di controllo ( non ultimo il ritiro troppo frettoloso dall’Afghanistan, pochi mesi prima dello scoppio del conflitto in Ucraina) ha convinto Putin a tentare l’azzardo con il paese confinante. Era insomma chiaro il tentativo di ripetere l'esperienza del 2014 con l’annessione della Crimea. Ma i conti si sono rivelati errati, ed ora la Russia rischia di pagare uno scotto pesantissimo per questo azzardo. Ma alla fine ancora una volta chi può invece beneficiarne più di tutti, rischia di essere ancora una volta la Cina.

Il presidente cinese, infatti, si può mostrare come l’unico che sta cercando una mediazione ( per ora di facciata), potendo continuare nella sua opera di espansione, approfittando invece del coinvolgimento indiretto di Usa ed Europa nel conflitto ucraino. In conclusione si può dire come la Cina debba alla fine ringraziare di tutto ciò gli ultimi tre presidenti democratici americani. Il primo, Bill Clinton ha dato praticamente l’avvio alla loro crescita esponenziale come superpotenza economica, grazie alla storica decisione di farla entrare, nel 2001, con tutti gli onori, nel Wto. Obama ha permesso invece la crescita della loro influenza politica ed economica su Africa e Medio Oriente ed infine Joe Biden che è per il momento spettatore della loro espansione anche nella vicina America Latina. Certo Donald Trump non ha fatto nulla per invertire questa tendenza, ma lui almeno ha pensato prima all'America ed ha avuto il grande merito di non alimentare nessun conflitto sul campo, cosa tutt'altro che secondaria quando si parla di Stati Uniti..

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