Siria senza pace: la Turchia prepara la "scalata ostile" al Rojava

Si prepara l'attacco di Ankara al Rojava, la regione autonomista governata dai curdi in Siria. La caduta di Assad non è stata la fine della guerra civile, ma solo il primo tempo

di Andrea Muratore

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Esteri

Siria senza pace: la Turchia prepara la "scalata ostile" al Rojava

Si prepara l’attacco dei turchi alle Syrian Democratic Forces curde, ultima possibile mossa per mettere completamente sotto tutela di Ankara la Siria? La mossa preoccupa sia le Sdf che gli Usa. Nelle ultime ore i report su fonti aperte (Osint) parlano di concentrazioni di truppe del Paese di Recep Tayyip Erdogan al confine con il Rojava, la regione autonomista governato dai curdi che dal 2011 a oggi è diventato il loro “cantone” in Siria.

Poco dopo l’insediamento di Mohammad al-Bashir a Damasco, il nuovo governo egemonizzato da Hay’at Tahrir al-Sham e Abu Mohammad al-Jolani aveva cercato un abboccamento con il Rojava, ufficialmente l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est.

L’organizzazione politica legata alle Sdf, il Partito dell’Unione Democratica (Pyd) che governa il Rojava, aveva annunciato che avrebbe issato i vessilli della rivolta siriana, verdi-bianco-neri con tre stelle, segnalando la volontà di aprire un canale di comunicazione con Damasco. Hts sperava di veder riconosciuta la sovranità su tutto il Paese al governo di transizione, le Sdf chiedevano un distacco tra i militanti ex-al Qaeda e la Turchia.

Ma non avevano fatto i conti con il Syrian National Army, esercito finanziato, armato e blindato da Ankara che controlla le aree di confine con il Rojava. Secondo Clash Report, il Sna starebbe muovendosi a occidente per aprire una manovra d’accerchiamento contro i curdi, mentre la battaglia potrebbe scatenarsi laddove nel 2015 le Sdf resistettero contro lo Stato Islamico, nell’area di Kobane.

La Turchia punta a strappare l'area di Kobane

“L'operazione di Turchia e milizie alleate in Siria dovrebbe puntare a strappare metà o tutta l'area di Kobane SDF a guida curda, congiungendo le aree di Jarablus-Manbij col distretto di Tel Abyad”, nota su X Francesco Petronella, giornalista di Ispi, sottolineando che l’obiettivo di Ankara è ritrovarsi con 100-120 km in meno di confine comune con le armate curde.

Pochi giorni fa scrivevamo su queste colonne che il futuro della Siria post-Assad si sarebbe giocato sull’equilibrio tra due partite: un dialogo al-Jolani-Sdf per bypassare Ankara da un lato o un rilancio dell’influenza turca, che può boicottare la saldatura tra curdi ed ex ribelli. Una manovra che per Ankara appare una mossa necessaria per essere l’attore determinante in Siria, anche a scapito dei suoi alleati nella Nato. Tra questi, in particolare, gli Stati Uniti, da sempre a fianco dei curdi contro l’Isis e che nella regione del Rojava hanno una presenza militare consistente che funge da presidio per Washington e per il comando centrale (Centcom) contro lo Stato Islamico e per fungere da deterrente contro l’influenza iraniana.

La scalata ostile della Siria da parte della Turchia

Il presidente eletto Donald Trump, nella giornata di ieri, ha parlato di una “scalata ostile” alla Siria da parte della Turchia, che nei giorni scorsi ha mostrato bandiera a Damasco inviando il ministro degli Esteri ed ex direttore dell’intelligence Hakan Fidan per incontrare i nuovi governanti, prima diplomazia a muoversi in questo senso.

La partita di Ankara è a tutto campo e va oltre la stessa volontà di Hts e al-Jolani di governare un Paese unito: la Turchia vuole espandersi in termini securitari e geopolitici, ampliare il cuscinetto di sicurezza contro i curdi, aprire la strada per spazzare via le Sdf, che ritiene una propaggine dell’organizzazione terroristica interna del Pkk, e creare un varco per reinsediare i 3 milioni di profughi siriani rifugiati nel Paese anatolico, la cui gestione è un grattacapo per Erdogan. Si conferma che la caduta di Assad non è stata la fine della guerra civile, ma di un primo tempo. Il cui termine non coincide con la ritrovata unità della Siria e con la fine delle mire delle potenze regionali e globali al Paese levantino.

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