Esteri

Siria, i ribelli hanno vinto la guerra. Ma la parte più difficile è mantenere la pace

La caduta di Assad chiude una fase lunga tredici anni. Se ne apre un'altra, ancora più complessa. Le chance di dialogo tra le diverse anime di un Paese dilaniato

di Andrea Muratore

Siria, i ribelli hanno vinto la guerra. Ma la parte più difficile è mantenere la pace

Pensando alla caduta di Bashar al-Assad in Siria e alla costituzione del nuovo governo guidato dall’islamista Mohammad al-Bashir, vicino a  Hay’at Tahrir al-Sham, viene in mente quanto Winston Churchill disse nel novembre 1942 alla Camera dei Comuni parlando della sconfitta inflitta dalle armate britanniche all’esercito italo-tedesco ad El Alamein: “Now this is not the end. It is not even the beginning of the end. But it is, perhaps, the end of the beginning”. La fine di un primo tempo durato tredici anni, dallo scoppio della guerra civile all’offensiva-lampo guidata da Hay’at Tahrir al-Sham e dai ribelli filo-turchi con cui l’Esercito Arabo Siriano è stato travolto in soli dieci giorni.

Ora viene la parte più difficile e complessa, per la Siria e per il Medio Oriente. L’opposizione, vinta la guerra, dovrà vincere la pace. E ci saranno sigle e movimenti che in passato non hanno mancato di combattersi tra loro da unire. Hay’at Tahrir al-Sham (Hts) ha giocato un ruolo militare importante e il suo leader Abu Mohammad al-Jolani è diventato l’uomo forte del Paese. Il suo premier, l’ingegnere al-Bashir, guiderà la transizione del Paese dopo aver amministrato per un anno il Governo di Salvezza Siriano, una delle tre entità istituzionali che si sovrappongono nella ribellione.

A questo si aggiunge il Governo ad Interim Siriano dell’Esercito Nazionale Siriano addestrato, armato e sostenuto dalla Turchia e il Fronte Sud, la coalizione di forze druse che ha conquistato la capitale Damasco l’8 dicembre. Non dimentichiamo, poi, le Forze Democratiche Siriane (Sdf) del Rojava curdo, entità semi-autonoma con cui i ribelli spesso si sono dovuti scontrare.

Siria, l'ennesima svolta che deve concretizzarsi

Il militante al-Jolani ha spinto, da primum inter pares, per un governo di transizione unito dell’opposizione a cui partecipano Hts, Fsa, forze del Sud e esponenti della Coalizione nazionale delle forze rivoluzionarie e di opposizione siriane, il forum di partiti e organizzazioni che dal 2013 da Istanbul rivendica la sola rappresentanza della Siria. Ma tutte queste svolte dovranno concretizzarsi, e nel Paese non mancano diverse linee di faglia.

C’è, innanzitutto, quella tra le forze degli ormai ex ribelli e le aree curde: saprà il Rojava curdo tornare a dialogare con una coalizione a guida islamista o il timore di veder ergersi dietro la nuova Siria l’egemonia dell’odiata Turchia di Recep Tayyip Erdogan aprirà dubbi in tal senso? Vi è poi il dilemma sulla possibilità di una riorganizzazione armata di fazioni del campo alawita storicamente fedele ad Assad e che hanno la loro roccaforte sulla costa, tra Tartus e Latakia.

Resta attivo l’Isis, e restano attive dopo la fine dei raid russi sui combattenti anti-Assad diverse potenze straniere: la Turchia contro i curdi, gli Usa contro l’Isis e Israele contro depositi di armi dell’esercito di Assad hanno lanciato attacchi nei giorni scorsi. Questa serie di fronti aperti dovranno delegare a un ampio dialogo politico il futuro del Paese. La percezione è che la priorità per il futuro della Siria si giochi su tre assi: quanto peserà l’influenza turca, che può boicottare la saldatura tra curdi ed ex ribelli; la volontà di Hts di giocare un ruolo prioritario moderando le aspirazioni più radicali in senso islamista; la possibilità di un dialogo tra al-Jolani e i curdi capace di dare concretezza a una vera unità nazionale. A cui aggiungere la benevolenza delle potenze straniere, regionali e non, per una Siria unita. Ciò che in fin dei conti manca dal 2011 a oggi.