Sudan, colloqui a Gedda per un cessate il fuoco preliminare per la pace

Gli scontri continuano a insanguinare il Sudan. Negoziazioni in corso tra le forze armate sudanesi e quelle di supporto rapido a Gedda, per costruire una tregua

di Marilena Dolce
Esteri

Sudan, le forze in gioco discutono la tregua agli scontri

Forze Armate Sudanesi (SAF) e Forze di Supporto Rapido (RSF) si sono incontrate a Gedda per stabilire il cessate il fuoco e attivare corridoi umanitari. La speranza è che si raggiunga presto una tregua. Oggi il Sudan - dopo la divisione dal Sud Sudan - non è “il più vasto Stato africano, otto volte più grande della Polonia”, descritto da Ryszard Kapuściński nei suoi reportage degli anni Sessanta, anche se restano le frontiere coloniali, “fatte con il righello”. Il Sudan confina con sette stati, Eritrea, Egitto, Ciad, Sud Sudan (2011) Libia e Repubblica Centro Africana ed è una regione che, per le immense risorse, è considerata strategica nello scacchiere internazionale.

Dal 15 aprile però è piombata nel caos. Non una guerra civile ma uno scontro tra militari. A combattere a Khartoum, nelle città vicine e in alcune aree del Darfur sono i militari del governo di transizione al potere dopo la caduta, nel 2019, del presidente Omar al Bashir, il generale Abdel Fatah al Burhan, (SAF) e il suo vice, il generale Mohammed Hamdane Daglo, detto Hemetti (RSF). Il 7 maggio, dopo una serie di tregue annunciate e subito interrotte con reciproche accuse, i due fronti, le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) si sono incontrate a Gedda, in Arabia Saudita.

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Colloqui non per la pace ma per una tregua umanitaria che “risparmi sofferenza al popolo sudanese e garantisca l’arrivo degli aiuti nelle zone colpite”. Così si legge nella dichiarazione congiunta degli organizzatori, Stati Uniti e Arabia Saudita. Dichiarazione che si conclude con un appello al sostegno internazionale per un processo di negoziazione tra le parti. Al momento il tavolo della tregua è sostenuto da Emirati Arabi Uniti, Inghilterra, Lega Araba e, tra le organizzazioni, Unitams (United Nations Integrated Transition Assistance Mission in Sudan), Igad (Intergovernmental Authority on Development) e Unione Africana.

I rappresentanti militari SAF e RSF arrivati sabato a Gedda hanno detto che avrebbero affrontato la questione dell’apertura di corridoi umanitari a Khartoum e nella vicina città di Omdurman, entrambe al centro dei combattimenti. Inoltre si sarebbe discusso anche per assicurare protezione alle infrastrutture civili, soprattutto ospedali e strutture sanitarie ora semidistrutte, senza medici né medicine. Un militare RSF ha dichiarato che l’obiettivo principale è il rispetto effettivo della tregua.

Sudan, l'incontro a Gedda per fermare gli scontri 

L’incontro di Gedda è un’azione diplomatica di Usa e Arabia Saudita che ha lo scopo di fermare i violenti scontri che hanno trasformato la capitale Khartoum e le città limitrofe in campi di battaglia, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le case per mettersi in salvo. È una difficile iniziativa per riportare il Sudan verso la transizione civile. I sauditi, va detto, sono grandi alleati e finanziatori di entrambi gli schieramenti militari sudanesi. Mentre gli Stati Uniti, mettendo termine alle sanzioni, hanno riportato in Sudan la comunità internazionale. Entrambi sembrano voler guidare le iniziative regionali verso la pace.

Il ministro degli Esteri saudita, principe Faisal bin Farhan, ha twittato che spera che i colloqui di Gedda riportino “sicurezza e stabilità”. Per il momento però restano fuori dalle dichiarazioni ufficiali previsioni per l’apertura di futuri negoziati per un accordo di pace. Mentre a Gedda si discute, da Khartoum continuano ad arrivare drammatiche notizie di scontri che non si fermano e che hanno causato finora la morte di 700 civili.

Sudan, il presidente: "Tregua solo se le forze paramilitari si ritirano"

Lunedì scorso il presidente Abdel Fatah al Burhan in un'intervista rilasciata al canale Al-Qahera News, ha detto che “condizione preliminare per accettare il cessate il fuoco è che le forze paramilitari (RSF) lascino i quartieri residenziali della capitale e le strutture di servizio pubblico, come stazioni elettriche e idriche, oltre agli ospedali”. “La situazione è stabile in tutte le aree eccetto Khartoum”, ha detto al Burhan ai media locali egiziani.

I bombardamenti nelle due città di Khartoum e Omdurman sono continuati nell’ultima settimana. Testimoni riferiscono ad Afp che l’esercito del generale Abdel Fatah al Burhan sta facendo raid aerei sui quartieri della capitale. Le due fazioni sembrano combattere per il predominio del territorio escludendo quindi possibili negoziati di pace prima di una vittoria militare. Un diplomatico saudita, parlando a condizione di anonimato, ha detto all'agenzia di stampa Afp che le discussioni di Gedda non hanno prodotto "alcun progresso importante". "Un cessate il fuoco permanente non è sul tavolo... entrambe le parti credono di essere in grado di vincere la battaglia".

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Sudan, il bilancio delle Nazioni Unite

La situazione in Sudan resta quindi drammatica. Le Nazioni Unite parlano di catastrofe umanitaria che potrebbe espandersi ai Paesi vicini. Dopo il saccheggio di camion di aiuti alimentari l’UN ha chiesto all’esercito e all’RSF di garantire il passaggio dei convogli di aiuti. Intanto gli abitanti della capitale vivono con il suono dei bombardamenti, senza acqua né elettricità, con scarse riserve di cibo e denaro, oppressi da un caldo soffocante. Interrotta anche la linea telefonica dell’operatore MTN per l’impossibilità di alimentare i generatori.

Militari e paramilitari si accusano a vicenda, come nel caso dell’attacco di sabato 6 maggio al convoglio dell’ambasciatore turco, nel quale non si sa ancora se ci siano stati feriti. Il ministero degli Esteri di Ankara ha deciso comunque di spostare la rappresentanza diplomatica a Port Sudan, zona esclusa dagli scontri. Da qui l’Onu negozia la consegna degli aiuti. L’altra area calda, oltra alla capitale, è il Darfur. Nella parte più a ovest, vicino al confine con il Ciad, i civili si sono armati si teme per prendere parte nei combattimenti tra militari, paramilitari, ribelli e clan. Finora, secondo l’Ong Norwegian Refugee Council, sono circa 200 i morti.

Dati Onu riferiscono, più di 700 morti, 5.000 feriti, 350 mila sfollati e 115 mila rifugiati. Oltre alle vittime dirette il conflitto sta peggiorando la fame endemica che già colpiva un terzo della popolazione sudanese. Secondo l’Onu, se la guerra dovesse continuare, più di due milioni e mezzo di persone nei prossimi sei mesi soffriranno di malnutrizione grave.

E poi ci sono gli sfollati. Per l’Unhcr il numero di sudanesi in fuga verso paesi vicini è di circa 860 mila persone, motivo per cui gli stati confinanti hanno chiuso le frontiere. Non però l’Eritrea, paese storicamente amico del Sudan, che si sta attivando per la cessazione delle ostilità ma anche per l’accoglienza dei profughi. A Tessenei, città di frontiera con il Sudan, le famiglie eritree li accolgono nelle loro case. Un modo per ricambiare il sostegno ricevuto negli anni della lotta armata, quando le organizzazioni eritree erano di base proprio in Sudan.

Sudan, la riunione dell'Unhcr e la lega araba divisa

Nei prossimi giorni l’Unhcr terrà una riunione sulla situazione in Sudan cui parteciperanno Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Norvegia, per decidere come portare e coordinare l’aiuto. Sulla situazione in Sudan la Lega Araba è divisa. L’Egitto sostiene l’esercito e il generale Al Burhan, mentre gli Emirati aiutano Hemetti con il sostegno attivo del generale libico Haftar che gli fornisce gasolio e munizioni.

Altro aspetto da non sottovalutare di questo conflitto è quello economico. La guerra potrebbe influenzare negativamente gli scambi con Stati Uniti, Russia, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Il Sudan infatti esporta oro per 2.85 miliardi di dollari, (2021), arachidi (488 milioni di dollari) petrolio greggio (385 milioni di dollari) capre e pecore (239 milioni di dollari), principalmente verso tali paesi ma anche, Cina, India e Italia.

È inoltre il principale esportatore mondiale di gomma arabica, mai bloccata neppure negli anni delle sanzioni. Ora però il conflitto ne ha impedito il raccolto. Quanto a importazioni invece il paese importa da Cina, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, India e Egitto zucchero grezzo, petrolio raffinato, grano, medicinali e automobili. Un prolungato conflitto destabilizzerebbe quest’equilibrio. Ulteriore fattore di destabilizzazione la posizione del Sudan sul Mar Rosso e il possibile fermo dei flussi commerciali attraverso il canale di Suez. La posta in gioco è dunque molto alta, anche se la tregua di Gedda dovesse tenere.

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