Il più grande finanziatore di Trump? Non è Musk ma Timothy Mellon

Il top donor di Donald Trump? Non è l'estroso Elon Musk ma lo schivo Timothy Mellon. Che ha contribuito alla campagna del candidato repubblicano con 165 milioni di dollari. Ecco chi è

di Andrea Muratore

Donald Trump e Timothy Mellon

Esteri

Elon Musk? No, Timothy Mellon. Chi è il primo donatore di Trump

Il miliardario americano che più appoggia Donald Trump? Non è Elon Musk, sicuramente il volto più noto e divisivo tra quelli che appoggiano il tycoon. ma Timothy Mellon, 82 anni, figlio di quella Virginia storica palestra del potere Usa, residente nel Wyoming cuore dell’America trumpiana. E, soprattutto, top donor di The Donald con 165 milioni di dollari di contributi.

Una proiezione netta per il figlio di Paul Mellon, noto filantropo, e nipote di Andrew Mellon, figura mitologica della Gilded Age che precedette la crisi del 1929. Quest’ultimo fu fondatore di un impero finanziario. La sua banca, la Mellon & Sons, finanziò il boom di imprese come Westinghouse e Standard Oil e per undici anni, dal 1921 al 1932, servì come Segretario al Tesoro di tre presidenti repubblicani. La tradizionale sintonia tra i Mellon e il mondo repubblicano è stata negli ultimi anni rilanciato da Timothy, classe 1942, una vita discreta passata da imprenditore di successo in maniera non legata semplicemente alle fortune famigliari.

Mellon tra finanza e settore trasporti

Mellon si è fatto strada nel mondo della finanza e al contempo nel settore dei trasporti. Nel 1977 ha fondato la Guilford Transportation Industries, venduta poi nel 2022 a CSX Corporation, che ha gestito anche la Pan American World Airways e diverse linee ferroviarie. Forte di un patrimonio di 14 miliardi di dollari, lo storicamente schivo Mellon è sceso in campo negli ultimi anni come figura chiave del Partito Repubblicano americano, amplificando dopo l’uscita dallo storico business la sua vocazione conservatrice.

Per decenni Mellon è stato tutto casa e business. Schivo, solitario, senza figli, lontano dai riflettori, era tutto testa bassa e lavoro: “Sulla stampa non è mai apparso molto su di lui, a parte un annuncio di matrimonio nel 1963 e articoli occasionali che ruotavano attorno ai suoi interessi per treni e aerei”, ha notato Vanity Fair, ricordando che “a differenza di altre élite con accesso alle leve del potere, si è impegnato a malapena in politica, donando solo 350mila dollari fino al 2017 a candidati in corsa”, ma facendosi notare nel 2010 per una donazione di 1,5 milioni di dollari all’Arizona per le spese legali in una causa intentatole per una proposta di legge anti-immigrazione.

Mellon, un autentico conservatore sempre più impegnato per i Repubblicani

Mellon ha sostenuto nella sua autobiografia, un libro del 2015 dal curioso titolo “panam.captain” (minuscolo) visioni radicalmente conservatrici: ha ritenuto le misure di sicurezza sociale una forma di “schiavitù” per la collettività, contestato l’immigrazione in America e espresso giudizi critici verso i neri d’America. Da allora, il suo impegno è cresciuto, come ricorda sempre Vanity Fair: “nel 2018 ha inviato 10 milioni di dollari al Congressional Leadership Fund, il super PAC che gestisce gli annunci pubblicitari per conto dei candidati repubblicani della Camera. Nel ciclo del 2020 i suoi contributi a candidati e cause conservatrici hanno raggiunto i 70 milioni di dollari (di cui 20 milioni a Donald Trump)”; nel 2021 ha donato 53 milioni al governatore del Texas Greg Abbott per il muro al confine col Messico e dal 2022 a oggi ha iniettato 165 milioni nelle casse di Trump, oltre a 25 a sostegno di Robert Kennedy Jr., che ora sostiene il tycoon.

In totale, dal 2018 a oggi sono oltre 360 milioni i dollari spesi da Mellon per sostenere candidati conservatori o critici, in questa fase, del potere del Partito Democratico. Nelle scelte dello schivo ma decisivo finanziere si rispecchia la volontà di lasciare un’eredità d’influenza condizionando con il proprio patrimonio le politiche in senso conservatore e identitario e un pragmatico trend volto a consolidare, grazie all’agenda di Trump tutta pro-tagli di tasse ai facoltosi e pro-finanza, la storia dei Mellon come dinastia di miliardari che dura da 175 anni, facendone la più longeva con i DuPont del capitalismo americano. Un piano chiaro e promosso in maniera diversa dall’estrosa manifestazione di Elon Musk, ma certamente con un contributo concreto altrettanto efficace per la corsa del tycoon che oggi si gioca il ritorno alla presidenza.

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