Esteri
Trump-Harris, Usa al voto tra polarizzazione esasperata e lo spettro di Capitol Hill
Per l'analista politico Lorenzo Maria Ricci, "esiste il rischio di assistere assistere a qualcosa di peggio" rispetto al 2021. L'intervista
Trump-Harris, Usa al voto tra polarizzazione esasperata e lo spettro di Capitol Hill
Il giorno tanto atteso è arrivato. Domani il popolo americano è chiamato a recarsi alle urne per scegliere chi sarà il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Oltre 70 milioni di persone hanno già votato durante i giorni di voto anticipato e i sondaggi mostrano una parità quasi assoluta. Con Trump che “sta cercando inevitabilmente di ritornare ad una sorta di retorica divisiva” ed Harris che “punta a quei moderati che non si rivedono nelle politiche divisive”, la corsa per i 270 grandi elettori sembra essere più incerta che mai. Quello che sembra evidente è che ci troviamo di fronte “ad una società completamente polarizzata e divisa” con un grande rischio di escalation rispetto ai fatti del 6 gennaio 2021. L’intervista a Lorenzo Maria Ricci, analista di politica internazionale.
La campagna di Trump pare essere tornata all’origine. Si parla molto meno di economia e immigrazione, argomenti che lo vedono in vantaggio rispetto a Kamala Harris, ma sono tornati insulti a giornalisti e ai suoi oppositori. Crede che gli ultimi sondaggi che vedono i democratici in ripresa stiano effettivamente spaventando Trump?
Al di là dei sondaggi in generale, io sono dell’idea che lui sta cercando inevitabilmente di ritornare ad una sorta di retorica divisiva. Il quadro che ci troviamo di fronte è quello di una società, quella statunitense, che è completamente polarizzata. Quindi secondo me, indipendentemente da chi vincerà, entrambi i candidati avranno problemi a ricompattare due anime che sono profondamente divise del Paese.
Dall’altra parte Harris sembra più rilassata, reduce anche da una virale partecipazione al popolare show Saturday Night Live e dai sondaggi interni che sembrano vederla leggermente in vantaggio. Segno di ottimismo o semplicemente un modo per distaccarsi dai toni duri del suo avversario e provare a convincere gli indipendenti?
Lei senza dubbio punta più a quei moderati che non si rivedono nelle politiche progressiste e democratiche ma nemmeno nelle politiche di Trump. E quindi cerca necessariamente di allargare il bacino e apparire moderata, sulle orme di quello che fece Biden nel 2020.
Secondo gli ultimi sondaggi la sfida per la Casa Bianca sarà un testa a testa, con pochissimi Stati che decideranno le sorti dei due candidati, Pennsylvania e Stati del Midwest in primis. Secondo lei la gara è veramente un testa a testa? Oppure uno dei due parte avvantaggiato?
Secondo me è lo specchio fedele della società americana attuale. C’è una polarizzazione totale della società che quindi si riflette anche nei due candidati e nell’espressione delle preferenze.
Si apre lo scenario di Donald Trump che potrebbe nuovamente non accettare il risultato delle elezioni, in caso di vittoria di Kamala Harris. E in un comizio ha detto che non avrebbe mai dovuto lasciare la Casa Bianca. Lei pensa ci sia il rischio di una situazione simile all’insurrezione del 6 gennaio 2021?
Il rischio c’è, non so quanto concreto ma si potrebbe assistere a qualcosa di peggio. Soprattutto nel Midwest e negli Stati dove c’è una sensibile percentuale di soggetti contrari a questa deriva progressista e che tradisce quelli che sono considerati i valori americani. Sono sempre di più le milizie e i gruppi paramilitari, una sorta di materia inesplorata. Ai sensi del secondo emendamento teoricamente si potrebbero formare ma sono a tutti gli effetti dei gruppi armati non regolati molto spesso composti da ex poliziotti in servizio, ex militari o semplici cittadini che sono contrari all’andazzo generale della politica americana e che decidono di formare dei gruppi armati. Quindi sì, c’è anche il rischio che ci sia un’escalation rispetto al 2021.
Alcuni esperti politici hanno commentato negativamente la campagna di Harris per non aver preso le distanze dai quattro anni di Biden. Lei solo ultimamente ha detto che la sua presidenza non sarà una continuazione dell’attuale amministrazione. Cosa ci possiamo aspettare dalla vittoria di Harris? C’è possibilità di quattro anni di politiche differenti da quelle dell’attuale presidente?
Le differenze essenziali potrebbero esserci a livello interno. Perché poi a livello internazionale essenzialmente Trump ha sempre fatto molta leva sul fatto che avrebbe favorito uno scongelamento con la Russi,a come è avvenuto nel precedente mandato. Poi i fatti parlano di altro. Parlano dell’aumento delle sanzioni contro la Russia durante la sua presidenza. Forse probabilmente lui cercherà di sfruttare il suo carisma e la diversa provenienza politica per porre fine al conflitto in Ucraina per cercare un cessate il fuoco che congeli il conflitto. E qualcosa di simile può succedere in Medio Oriente, anche se l’America si è dimostrata non in grado di influenzare le decisioni di Israele e cerca una sorta di accomodamento con gli attori coinvolti per poi puntare veramente alla Cina cercando una sorta di contenimento cinese soprattutto verso Taiwan. Questi ultimi anni hanno rallentato la fornitura di armamenti verso Taiwan, viste le esigenze emerse in questi ultimi due anni e mezzo in Ucraina e in Medio Oriente.
In caso di vittoria di Trump, invece che prospettive si apriranno? Secondo lei sono credibili gli scenari quasi apocalittici che Harris sembra descrivere quando si parla della vittoria del tycoon?
Fa parte della situazione sociale americana che vive di due momenti diversi. Ci sono due Americhe, quella “di fuori”, cioè quella concentrata sulle coste oceaniche e nei grandi centri urbani che vive la società come la viviamo noi, occidentale e materiale. Ma c’è anche dall’altro canto un’America “di dentro”. E facciamo riferimento agli Stati del Midwest e del sud del Paese che mantengono questo aspetto massimalista e fortemente violento che invece è necessario per mantenere l’egemonia mondiale. Quindi penso che questo non farà la differenza.