Pitoni al posto del manzo: per gli scienziati è una valida alternativa
I rettili consumano meno acqua, producono meno gas serra e sono meno sensibili ai climi estremi, oltre ad essere una fonte di proteine
Una ricerca promuove gli allevamenti di pitoni come alternativa a quelli di bestiame. I serpenti sarebbero "superiori a tutte le specie allevate tradizionalmente e studiate finora"
Da un lato c'è il tema degli allevamenti intensivi, oggi considerati quasi unanimamente poco etici, dall'altro c'è l'esigenza di sfamare una popolazione mondiale in costante crescita. Per il risolvere il problema c'è chi punta alla carne sintetica, altri spingono sul consumo degli insetti e altri ancora su quello dei serpenti. Sulla rivista Scientific Reports è apparso uno studio in cui si propone gli allevamenti di pitoni in alternativa a quelli convenzionali di bestiame, sopratto in quella parte di mondo colpita dalla crisi climatica. Gli studi sono stati condotti su alcuni allevamenti di pitoni in Thailandia e Vietnam.
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"Sulla base di alcuni dei più importanti criteri di sostenibilità, i pitoni risultano superiori a tutte le specie allevate tradizionalmente e studiate finora", sono le parole del dottor Daniel Natusch, ricercatore e Presidente del Gruppo specializzato in rettili dell’IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, riportate da Gambero Rosso.
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I vantaggi nell'allevare pitoni rispetto al manzo sono una minore produzione di gas serra, richiedono meno acqua degli animali a sangue caldo, sono più resistenti alle condizioni climatiche estreme e non trasmettono patologie pericolose, come è succede ad esempio con l'influenza aviaria. In più questi serpenti sono una fonte di proteine più efficiente rispetto a pollame, suini, bovini e salmoni.
"Alcuni dei pitoni oggetto del nostro studio hanno smesso di mangiare per quattro mesi - il 45% della loro esistenza - senza nessuna ripercussione sulle loro condizioni fisiche", ha spiegato il co-autore della ricerca ed ecologista il Dottor Patrick Aust - Proviamo a immaginare di non nutrire un pollo per quattro mesi: dopo quattro o cinque giorni sarebbe già morto".