Salvini posta la visita al pastificio Rummo. Bufera social contro il brand

A innescare la rivolta degli utenti il presunto coinvolgimento con il vicepremier Salvini, che ha condiviso sul suo profilo TikTok la visita allo stabilimento

di Redazione Food
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Salvini in visita allo stabilimento Rummo: i social in rivolta contro il noto marchio di pasta

A volte le personalità -politiche o meno- meno graditi al pubblico del web diventano pericolose miccie di trend negativi per i brand che ne vengono a contatto. Lo dimostra la bufera social piombata sulla testa di Cosimo Rummo, o meglio, del suo rinomato pastificio nel Beneventano. Il motivo? A innescare la rivolta degli utenti il presunto coinvolgimento con il vicepremier Salvini, che non ha mancato di condividere sul suo profilo TikTok di aver fatto visita allo stabilimento sannita. 

In  merito, il fondatore del marchio - conosciuto a livello internazionale nel settore food - ha rilasciato un'intervista al Corriere, di cui riportiamo qualche passaggio: «Sono letteralmente senza parole. Il ministro delle Infrastrutture viene a fare investimenti a Benevento, chiede di venire a visitare lo stabilimento, non capisco cosa vogliano: dovevo chiudergli la porta in faccia? Non capisco. Tra l’altro c’era anche l’ex sottosegretario Pd Umberto del Basso de Caro con la delegazione».

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Eppure non si tratta del primo politico che si reca presso la sede Rummo: «Ho avuto in visita Gentiloni da premier, Andrea Orlando quando era ministro. Siamo un punto di riferimento nel Sud per l’eccellenza della nostra produzione, è un onore e un orgoglio poter accogliere le istituzioni. Al di là delle idee politiche, esistono le regole della buona educazione e del rispetto delle cariche. Io non chiedo la tessera di partito a nessuno quando entra a casa mia. Le aziende hanno un valore sociale. Io lavoro con tutto il mondo».

E riguardo ai motivi che stanno spingendo i social ad accanirsi contro il marchio, il patron Rummo risponde: «Non me lo so spiegare, servirebbe uno psichiatra. La verità è che non si parla delle cose reali, dei problemi dell’impresa, dell’economia. Sento linguaggi e pensieri non realisti. È un mondo alla rovescia. Questa non è democrazia. Invece di occuparsi di temi seri. Io, per esempio, non trovo lavoratori. E noi certo non facciamo contratti in nero. Si entra con uno stipendio medio di 1700-1800 euro al mese».