Caterina Falconi, il noir come riflessione sulla realtà: La volta di troppo
Un romanzo di raffinata composizione, anche lessicale: la volta di troppo in cui s'inciampa per la voglia di riscrivere un finale diverso della propria vita
Caterina Falconi esordisce nel noir con La volta di troppo, per l'editore Clown Bianco: l'intervista di affaritaliani.it
Difficile inquadrare la produzione narrativa di Caterina Falconi, la scrittrice abruzzese nota per i suoi romanzi e le riduzioni letterarie per bambini, che ora esordisce nel noir con La volta di troppo per l’editore Clown Bianco; dopo essersi aggiudicata un premio nell’ambito di Giallo Luna Nero Notte di cui è patron il giornalista e scrittore ravennate Nevio Galeati.
Un romanzo di raffinata composizione, anche lessicale, che prende le mosse dall’uccisione per strangolamento con l’archetto di violino di una donna di nome Colomba, una sorta di groupie del pittore Cesare Ferrara, rimorchiatore e traditore abitudinario, sempre in caccia su Facebook. A indagare una singolare detective dilettante, grande obesa, e ormai espertissima di social network per il tempo che vi trascorre, madre del vero titolare delle indagini, il commissario Angelo Gatti.
La volta di troppo del titolo è quella in cui s'inciampa per la maledetta voglia di riscrivere un finale diverso della propria vita: "Ho imparato da tempo, e temo di non essere l’unica tra gli scrittori, che riscrivere un finale diverso alle vicende proprie o immaginarie non modifica la realtà, spesso refrattaria ai desideri. La volta di troppo è soprattutto un tentativo di comprendere perché certe donne decidano di confinarsi in casa o addirittura nel proprio corpo, deliberatamente appesantito e pertanto inespugnabile" spiega Caterina Falconi, nelle librerie anche con Dimmelo adesso (ne avevamo parlato qui), romanzo incentrato sul tema del bullismo scolastico edito dalla prestigiosa Vallecchi Firenze.
Rebecca, la protagonista, sussume il dolore di tante donne di mezz’età alle prese con i loro bilanci sentimentali fallimentari?
Rebecca è certamente zavorrata dal dolore della definitiva sconfitta sentimentale, comune a tante persone. Ma l’ha archiviato e si è reinventata, con quelche resta di lei, una persona diversa: un’investigatrice particolarissima, che spigola nei social network alla ricerca delle prove dei torti subiti dai suoi committenti.
La figura del commissario Angelo Gatti, uomo religioso e retto, è molto originale nel panorama noirista non solo italiano.
Angelo Gatti è la rappresentazione dell’uomo ideale: affettivo, fedele, retto, addirittura bellissimo. Un personaggio ispirato alla figura innamorevole di mio nonno materno Achille Ronda, che fu un pater familias e un preside tanto amato da tutti, anche se non bello quanto il mio commissario
Poi c’è un pittore, rimorchiatore indefesso, che è il suo esatto opposto…
Il pittore è rappresentativo di una categoria, maschile e femminile, molto diffusa: quella dei rimorchiatori seriali pervasi da un ego ipertrofico. Cesare Ferrara è indubbiamente un grande artista, smanioso di approvazioni molteplici e costanti. Una donna sola non può saziarlo, pertanto ha svariate relazioni parallele.
Il romanzo contiene una riflessione sul rapporto genitori-figli. Una tematica che le preme?
Credo vi siano delle dinamiche disfunzionali che si riverberano di generazione in generazione. Nel romanzo ho cercato di rispondere, narrativamente, a una domanda che mi pongo spesso: se i figli possano fare, del danno subito dai genitori, un’occasione di riscatto.
Il noir è un genere, tra i tanti in cui si è sperimentata, chefinora non aveva frequentato. Cosa l’ha attratta?
Trovo che il noir abbia una letterarietà e una profondità maggiori rispetto ai polizieschi tout court. Del genere mi ha attratta lo spostare il focus narrativo sulla complessità degli investigatori, sempre alle prese con la loro Ombra, con il male insito nell’umana natura che si riattiva e risuona proprio al cospetto del delitto: elemento di rottura per eccellenza.
Il romanzo tratta in modo impietoso il fenomeno del rimorchio su Facebook. Chi può illudersi di fare l’incontro della vita sui social?
Talvolta, anche se raramente, l’incontro decisivo si può fare anche su Facebook. È una questione di discernimento e fortuna. Chi può dirlo? Solo il tempo, credo.
L’ambientazione è ad Atri, un piccolo borgo d’Abruzzo, dobbiamo attenderci che diventi come Cabot Cove per Jessica Fletcher o Gubbio per don Matteo?
E chi lo sa? Tra me e le mie storie c’è compartecipazione. Non so mai dove mi condurranno, fin dove accetterò di essere condotta.