Kundera come la corazzata Kotiomkin di Fantozzi. Quando Roberto D’Agostino lo perculò

Il celebrato testo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” è ottimo come analgesico per piccole operazioni dentali

L'opinione di Giuseppe Vatinno
Milan Kundera
Libri & Editori

Milan Kundera e racconto pallosissimo de “l’insostenibile leggerezza dell’essere”

La scomparsa dello scrittore Milan Kundera ha destato commozione mondiale e fermato per qualche ora financo le vicende della guerra tra Russia e Ucraina. Tutti i media del mondo hanno pianto all’unisono uno scrittore che nessuno ha mai letto tranne per il titolo di un suo fortunatissimo libro: “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, pubblicato nel 1982.

I pochi sfortunati –come chi scrive- che l’hanno letto tanto tempo fa ricordano un racconto pallosissimo, che ruota intorno ad un quartetto di personaggi, chiamati il “quartetto di Kundera” composto di due uomini e due donne che hanno dall’autore come mandato categorico o “imperativo kantiano” quello di tradirsi a vicenda.

Polpettone pruriginoso vetero – sentimentale in salsa praghese, fa parte di quella corrente letteraria e purtroppo soprattutto cinematografica delle cosiddette “parrucchiere della Loira in calore” che ha devastato, come la peste nera, la Francia e l’Europa a partire dal 1980.

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Il libro è ambientato nel 1968, durante la Primavera di Praga, prima dell’invasione del Patto di Varsavia. Kundera era nato a Brno in quella che ora è la Repubblica Ceca e forse con questo romanzo voleva scimmiottare gli analoghi flagelli prima descritti, essendo fuggito in Francia nel 1975. Se questo era lo scopo ci è riuscito benissimo. Il libro di “insostenibile” ha solo una terribile pesantezza narrativa, ottimo per provocare il sonno e come analgesico per piccole operazioni dentali.

Difficilmente si giunge alla seconda pagina, soprattutto se la lettura avviene di pomeriggio durante quella che d’estate nel Sud si chiama la “controra” o, peggio ancora, nel dopo cena. Naturalmente non poteva mancare un film che porta lo stesso nome, uscito nel 1988 e diretto da Peter Kaufman. Nelle sinossi cinematografiche qualcuno ha l’ardire di definirlo “drammatico, erotico”. Il film, come il romanzo, ha lo stesso contenuto erotico di una passeggiata al parco in compagnia dei “Tre porcellini”.

Eppure Kundera, che ha vinto poco o niente e soprattutto nessun Nobel, è considerato uno dei più grandi scrittori mondiali. In realtà l’unico pregio che ha il libro - mattone è appunto il titolo che gioca furbamente sul paradosso dei due aggettivi opposti e accostati; “insostenibile” e “leggerezza”.

A ennesima riprova che nessuno legge libri se non oltre il titolo e i più coraggiosi arrivano, con estremo dispendio di energie, alla quarta di copertina. Nel meraviglioso e dissacrante, “Il secondo tragico Fantozzi” di Luciano Salce c’è il famosissimo episodio della “corazzata Kotiomkin” che fa il verso a “La corazzata Potëmkin” del regista sovietico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn sulla Rivoluzione russa.

Il temibile professor Guidobaldo Maria Riccardelli costringe i suoi impiegati a visioni continue appunto della “corazzata Kotiomkin” finché un bel giorno, Ugo Fantozzi (interpretato dal grande Paolo Villaggio), richiesto del suo parere rompe il muro dell’omertà e se ne esce con il celeberrimo: «Per me... La corazzata Kotiomkin... è una cagata pazzesca!». La Verità li fa liberi, è il caso di dirlo. E la vera rivoluzione la fanno gli impiegati che catturano l’aguzzino, lo fanno mettere in ginocchio sui ceci, e gli bruciano la copia personale della palla cinematografica di fronte ai suoi occhi.

Ora è in effetti un po’ tardi per riservare lo stesso trattamento a Milan Kundera, ma idealmente lo si può sempre immaginare con una certa sadica soddisfazione e dire “L’insostenibile leggerezza dell’essere è una cagata pazzesca!”. L’unico che aveva capito tutto fin dall’inizio, e cioè che “L’insostenibile leggerezza dell’essere” era una bufala coi fiocchi, fu Roberto D’Agostino che lo lanciò nel 1985 durante la trasmissione “Quelli della notte” di Renzo Arbore su Rai2.

D’Agostino, con fare geniale, lanciò un tormentone sul suggestivo titolo riuscendo nell’impresa epica di non parlare mai della trama. Il libro –nella finzione del programma - era funzionale a fornire una “chiave ontologica” delle gaffe televisive che erano “la sublimazione dell’eros televisivo” e riconducevano inevitabilmente all’ “edonismo reganiano”, altro tormentone lanciato in quella stessa trasmissione.

Le vittime erano Maria Giovanna Elmi che non sa quale telecamera guardare, Roberta Giusti che si pettina i capelli in diretta e Romano Battaglia che cade dalla sedia durante una intervista. L’operazione di D’Agostino era di un sofisticato ed irresistibile perculamento ante – litteram degli intellettuali radical – chic che continuavano nei loro salotti a ripetere l’evocativo titolo guardandosi bene dal leggerlo. E siccome non c’era Internet e Wikipedia bastava per entrare nel novero degli “intellettuali” impegnati.

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