Sanremo. Costa poco e fa ricche le major: perchè tutti vogliono la trap

Come mai dopo i Måneskin nessuno ha puntato sul rock. Tutto quello che non sai. Discografia, concerti, produzioni e mercato. Intervista a Sangiorgi del MEI

di Antonio Amorosi
MediaTech

Cosa dovrebbe fare il governo di Giorgia Meloni per cambiare il monopolio nella musica delle major discografiche e smettere di far “lavorare” Sanremo al ribasso. Le proposta di Giordano Sangiorgi, ideatore del Meeting delle Etichette Indipendenti

La tanto vituperata musica “Trap” che vediamo come pietra dello scandalo nei talk show? “E’ un prodotto pompato e voluto dalle major”. Come mai, dopo il successo mondiale dei Måneskin, nessuno ha puntato sui gruppi rock italiani? “I costi di una band sono troppo alti per le major. Meglio il ragazzino che fa rap, hip hop, ‘trap’ e che con 1000 euro si fa il disco in casa”, racconta ad Affaritaliani Giordano Sangiorgi, fondatore del MEI, il Meeting delle Etichette Indipendenti, la più nota manifestazione delle produzioni Indies in Italia e che spiega le nuove tendenze, le scelte del mercato, perché a Sanremo vediamo una scena spesso monopolizzata dalle major, Sony, Universal, Warner, e come il governo dovrebbe intervenire, per trasformare il settore con dinamiche pluraliste, dove le produzioni diventino di più alta qualità ed italiane.

LEGGI ANCHE: Elettra Lamborghini: da Only Fun alla canzone per Sanremo 'stile Claudia Mori'

Sanremo determina l’80% del mercato musicale italiano, dico bene?

Sì, calcoli però che su 10.000 produzioni in Italia, l'85% sono di etichette indipendenti che fanno di tutto, dal blues al folk, dall'hard rock al jazz, queste però non passano nei canali mainstream e al Festival. In basso troviamo le rock band, la canzone d'autore, soprattutto femminile, una miriade di eccellenze. Nella società ci sono tante produzioni interessanti, invece faccio fatica a trovare i “trapper” o quel genere lì.

Perché?

Perché oggi ci sono due modelli di musica. Da un lato le case discografiche major vogliono fare l'intrattenimento al più basso costo possibile, quindi gestire dei singoli che si fanno le canzoni nella loro cameretta, con un video, l'iPhone. E così tu sul digitale hai massimizzato gli incassi, visto che sono bassi. Dall'altro hai invece coloro che studiano gli strumenti, basso, chitarra, batteria e che fanno rock, folk, jazz e lì troviamo della musica dove è ancora possibile sperimentare

Questo dominio dei Talent e delle piattaforme può essere controbilanciato dal ritorno ai concerti e alle sperimentazioni e se sì come?

Diciamo che intanto i Talent sono al capolinea, non sono più l'elemento trainante del futuro della musica, sono un punto di partenza per qualcuno che poi deve diventare dominatore delle piattaforme social. Io credo che tutti quegli artisti che fanno il secondo segmento, cioè quello della musica come patrimonio culturale di innovazione, sperimentale, stiano tornando alle musiche territoriali, come quella napoletana, al liscio da noi in Romagna.

Oggi siamo a uno spartiacque e abbiamo due modelli alternativi di musica. Uno che è quello da intrattenimento e vediamo circolare per la maggiore, che è quello che ha la maggioranza del mercato, che vede sui palchi una sequela di cantanti, uno dietro l'altro, senza più musicisti alle spalle, che propongono dei tormentoni che cercano di durare tutto l'anno.

LEGGI ANCHE: Bonolis a Sanremo per il dopo-Amadeus, ma l'ex moglie Bruganelli si oppone

Diciamo che è un modello un po' da villaggio turistico. Dall'altro c'è il modello di una proposta culturale musicale che ha un progetto di più ampio respiro, che va oltre al singolo, ma propone un concerto di un'ora e mezza, anche più, legato da un filo rosso importante di spessore culturale e musicale, spesso con dei messaggi sia musicali che culturali diversi, innovativi, più profondi e meno immediati. Questo modello dovremmo sostenere con le leggi, come il FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo e le leggi regionali. E’ un po' come sostenere gli agricoltori locali di fronte allo strozzamento delle multinazionali

E come si potrebbe invertire questa tendenza? 

Con il pluralismo nei media. Sono anni che diciamo che ci deve essere un servizio pubblico, nelle tv, radio pubbliche e private, dove il 40% sia prodotto nazionale, che vuol dire avere tutte etichette Indipendenti che fanno tutti i generi. E quindi parliamo di quote che garantiscano il pluralismo, cioè se fai il festival di Sanremo, tu hai il 40% riservato a queste altre produzioni. Vuol dire che nelle piattaforme social e nei festival tv musicali tu avrai un 40% di proposte di aziende nazionali Indipendenti del proprio Paese e non multinazionali. In Francia c’è una legge che applica questo principio dal 1992

Non dovrebbe cambiare anche il meccanismo di direzione artistica del Festival di Sanremo perché se poi fai un filtro lì e quello determina il grosso del mercato...?

Parlo di regolamenti, sono a monte, sono prima di chi conduce, di chi dirige artisticamente. Il 17 gennaio l'Unione Europea ha dato un'indicazione, non vincolante purtroppo, perché le piattaforme abbiano delle quote di musica europea e nazionali, dove operano. Se non accade, gli unici algoritmi che spingerà Spotify sono quelli delle canzoni usa e getta, il rap, la “trap” e similari. Non le canzoni di 7 minuti, che ne so, il “prog”, o le canzoni d'autore impegnate, il rock, che parlano di problematiche più critiche

La prima cosa che dovrebbe fare il governo?

Inserire le quote. Come in Francia, come in Canada, come in altri Paesi. Le quote quindi nelle trasmissioni, nelle radio con il 40% devono essere produzioni di etichetti Indipendenti in Italia che fatturano in Italia, hanno sede in Italia e pagano le tasse in Italia

Ma se sentiamo la stessa melassa, da etichetta Indipendente o da major perché è così importante questa battaglia? 

Perché l'etichetta Indipendente è proprio quella che innova ogni giorno la musica. Nel senso che nei periodi in cui, ad esempio negli anni ‘80, l'Italia era invasa dalla musica straniera, c'erano etichette Indipendenti che costruivano la musica del futuro e hanno permesso l'esplosione del boom degli Indipendenti negli anni ‘90. In questo momento, senza che lei e io lo sappiamo, molto probabilmente ci sono delle etichette Indipendenti che stanno preparando degli artisti che rinnoveranno la qualità della proposta musicale. 

Guardiamo i Måneskin, che hanno di fatto vinto quel contest, sono venuti al MEI a suonare e poi hanno fatto la trafila che hanno fatto con il botto mondiale. Quindi le etichette Indipendenti sono ancora più importanti oggi, in cui si è abbassata la qualità, per questo vanno sostenute. Oggi non c’è una distribuzione digitale alternativa ed è un periodo ancora più difficile per proposte diverse dalla massa

LEGGI ANCHE: Sangiovanni e la depressione, dopo Sanremo lo stop: "Mi fermo, non sto bene"

Strano che nessuna major abbia provato a mettere in pista altri gruppi rock italiani, dopo il successo mondiale dei Måneskin. Come lo spiega?

I Maneskin avevano creato una grandissima scena, c'era stato il grande ritorno dei giovani a comprare gli strumenti musicali, lo dicono tutti gli addetti ai lavori. Non c'è scritto da nessuna parte, ma la mia idea è che alle major non convenga. I gruppi che suonano sono troppo complicati e costosi. Infatti è inverosimile che nessuno abbia almeno provato a vivere sulla scia Maneskin, c’è stato il deserto. Accade perché i costi di una band, produzione, promozione e tutto il testo sono troppo alti per la major. Meglio il ragazzino che fa rap, hip hop, “trap” e che con 1000 euro si fa il disco in casa

In Italia c’è ancora gente che suona degli strumenti veri...

Ho portato il progetto Romagna Mia a Sanremo, che è un progetto totalmente indipendente e giovanissimo che ha trovato uno spazio significativo. Così come in altre zone d'Italia i giovani musicisti che fanno musica, la studiano, ne sono appassionati, profondi conoscitori, consapevoli, si stanno impadronendo di queste musiche territoriali che sono un'alternativa al mainstream commerciale. Da noi in Romagna c'è un movimento di liscio oggi fatto da centinaia e centinaia di giovani musicisti che se ne stanno riappropriando

E come incide questo sul mondo dei concerti? Perché una volta, quando c'è stato il passaggio al digitale, i fatturati veri si facevano con i concerti, i dischi non si vendevano più. Adesso è ancora peggio...

Una volta avevi i big, come Lucio Battisti e Mina, che facevano i soldi con i dischi e lasciavano i concerti a quelli più piccoli, alternativi. Oggi i concerti li fanno anche i big delle major perché le major hanno il 100% del mercato e quindi avere i media tutti dalla propria parte, avere il digitale... avranno anche i live. Tra l'altro molti artisti delle major fanno anche club e teatri da poche centinaia di persone che un tempo erano un appannaggio solo per gli Indipendenti.

Non c'è un circuito alternativo che gestisce gli Indipendenti? Vedo la musica rap neomelodica napoletana e mondi annessi che è nata creando reti alternative.

Sì, sono molto interessanti. Gli spazi però si riducono perché se tu hai i big che vanno, anche loro, nei club, loro fanno prima a riempirli. Poi hai meno spazio a disposizione oltre al fatto che la pandemia ne ha ridotti di un terzo per chiusura. Ma con interventi legislativi, come sul modello francese, si potrebbe cambiare tutto

Altre cose che può fare il governo?

La seconda azione importante sarebbe quella di attivare il credito d'imposta per tutti i piccoli club che fanno musica dal vivo, cioè fanno quella musica che permette agli esordienti, agli emergenti, agli indipendenti originali di potersi esprimere. favorendo la promozione culturale. Un credito d'imposta e una scontistica sui diritti, può favorire il live dei piccoli, sia nel club che nei festival.

Tags:
2024amadeusgeolierindipendentiindustria musicalemajormaneskinmeimusicaraprocksangiorgisanremosegretitrap