Si occupa più di creatività il Presidente dell’UPA che quello di ADCI
A poche ore dall’apertura del Festival Mondiale della Creatività di Cannes, alcune considerazioni sullo Stato dell’Arte della Pubblicità italiana
Si occupa più di creatività il Presidente dell’UPA che quello di ADCI
Quest'anno, al Festival Mondiale della Pubblicità di Cannes, supererò le oltre 40 edizioni seguite in carriera. Di solito, prima che si apra la scalinata con tappeto rosso del Palais des Festival sulla Croisette, ho ascoltato dichiarazioni le più varie, da parte dei professionisti della pubblicità nazionale.
Abbiamo avuto, nei decenni del secolo scorso, ambiziose arringhe (“come nella moda, siamo i più creativi del mondo”), seguite da improvvise prese di coscienza (“se le giurie internazionali non ci capiscono, è solo colpa nostra”); poi, col nuovo millennio, ci si è resi conto del gap digitale che ci collocava tra i paesi meno influenti, salvo poi avere un’improvvisa impennata d’orgoglio negli ultimi anni, perché Bruno Bertelli (e solo lui) faceva incetta di premi, mentre il resto della creatività italiana masticava amaro.
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Quest’anno, però, devo dire che il pezzo d’apertura deve essere dedicato non a un creativo ma a Lorenzo Sassoli de’ Bianchi, Presidente uscente degli investitori pubblicitari (UPA): due settimane fa ha aperto un importante convegno dedicato all’e-branding, la comunicazione digitale, in una sala piena di direttori marketing e marketing digitale, con parole che hanno lasciato il segno.
“Non ricercate idee troppo complicate. Cercate l’ovvio, l’intuitivo, il lampante”: così invitava gli investitori pubblicitari a selezionare la creatività da mettere on line. Ma era evidente che Sassoli pregava di usare questo ‘manifesto’ su tutti i media.
Anche nel successivo incontro privato con la stampa, ha insistito sul tema: “La marca deve uscire dalla confusione in modo semplice, evitando qualsiasi complicazione”. Che si sposa perfettamente con le valutazioni precedenti: “Ovvio non è mai così semplice, anche se è stato sotto i nostri occhi per anni. Ma non deve essere complicato da sovrastrutture cervellotiche senza spiegazioni”.
Insomma, un vero e proprio breviario di creatività da parte di chi muove le decine di miliardi di investimenti pubblicitari nazionali. Nel completo silenzio di chi di creatività dovrebbe vivere, cioè i Copy e gli Art italiani, rappresentati da ADCI. Ma forse c’è poco da aggiungere.
Sassoli conta davvero: a lungo ha governato gli investitori, garantendo sia lo sviluppo delle tecnologie media digitali che la misurazione degli strumenti di pianificazione con i vari Audi. Ai primi di luglio cederà il testimone. Ma dalle sue ultime parole nulla lascia intendere che la sensibilità dei clienti cambierà: ancora sono citate, come esempi di creatività semplice, campagne degli anni ’70 come Olio Cuore, con il salto della staccionata, o Amaro Montenegro, con il suo veterinario.
E, a dire il vero, i tentativi di modernizzazione creativa, in questo paese e nell’ultimo decennio non hanno portato a grandi risultati: proprio un altro amaro, Averna, dopo l’acquisizione da parte di Campari, ha vinto un Grand Prix ADCI con una smaltatissima produzione ed un rap siciliano contemporaneo. Peccato che poi lo stesso film a Cannes non abbia guadagnato neanche la short list. E soprattutto, nel giro di pochi mesi, sia stato fatto sparire dalla programmazione.
Forse questo è il segno più evidente dello scollamento tra i creativi della “generazione digitale”, che ancora non hanno superato le Publistar tanto vituperate: nessun rimpianto, questi cinquantenni di poco talento verranno sostituiti dall’AI. L’unico che resisterà è quel fenomeno di Bruno Bertelli che, con tutta probabilità, anche quest’anno sarà l’unico italiano (anche se di respiro internazionale) a conseguire metalli preziosi al Festival della Creatività.
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Nella prossima settimana a Cannes cercheremo di capire se sono gli investitori, rappresentati dal loro Presidente, o i creativi italiani e le loro agenzie, ad essere inadeguati al ruolo di costruttori di cultura popolare attraverso l’Arte Applicata della Pubblicità.
Più probabile che la responsabilità vada verso i creativi, con il loro desiderio smodato di esibirsi nella celebrazione della cultura woke (come dimostra l’ultimo Grad Prix ADCI) e di proporre campagne totalmente affidate ai testimonial (come l’indigestione di Sinner o di Elio e le Storie Tese degli ultimi mesi dimostra senza alcun dubbio).
Nel frattempo, anticipiamo che, a 90 anni, l’inventore delle Publistar, il francese Jacques Seguela, verrà premiato con il Leone di San Marco alla carriera. Da viente, da Presidente dei grande agenzia mondiale a capitale francese, da influente player del digitale e dell'intrattenimento. L'uomo che, sul coraggio in creatività, aveva già risposto a Sassoli due anni fa, rilasciando un'intervista in cui dichiarava: "I clienti devono fare meno test. E mostrare di avere più testicoli". Chissà come rosicheranno i giovani impiegati della creatività digitale italiani, per i quali Emanuele Pirella, coetaneo di Seguela, era un pessimo creativo.