Tim, Cassazione boccia ricorso della Consob: Vivendi non ha controllo di fatto

La Corte di Cassazione ha deciso: il ricorso della Consob è "inammissibile" e conferma che Vivendi non ha "il controllo di fatto"

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Tim, bocciato il ricorso della Consob. La Cassazione: "Vivendi non ha il controllo di fatto"

La Corte di Cassazione a sezioni unite dichiara "inammissibile" il ricorso della Consob e conferma che Vivendi non ha "il controllo di fatto" su Tim. È quanto si legge nell'ordinanza della Cassazione che risale all'11 ottobre ed è stata diffusa oggi.

La Consob aveva fatto ricorso contro la decisione del Consiglio di Stato che aveva annullato la deliberazione della Commissione che qualificava il rapporto partecipativo di Vivendi in Telecom Italia in termini di controllo di fatto. A sua volta il Consiglio di Stato aveva annullato la decisione del Tar che dava ragione alla Consob.

La questione nasce dal fatto che Vivendi, società francese quotata alla Borsa di Parigi, è entrata nel capitale sociale di Tim nel giugno del 2015, con la titolarità di una partecipazione iniziale pari al 6,66%, che poi si è progressivamente incrementata fino a raggiungere il 23,925% del capitale sociale di Tim.

La Consob aveva qualificato tale rapporto partecipativo di Vivendi in Telecom in termini di controllo societario di fatto a seguito della constatazione che Vivendi, nella riunione del 13 settembre 2017, era riuscita a nominare la maggioranza dei consiglieri di amministrazione di Telecom.

"Non vi è stata, dunque, alcuna creazione di norme inesistenti- si legge nell'ordinanza della Cassazione - né alcuna ingerenza nella sfera della discrezionalità riservata all’organo amministrativo essendosi il Consiglio di Stato limitato ad individuare, attraverso un articolato percorso argomentativo, le ragioni giuridiche che imponevano di applicare alla fattispecie i principi giuridici in materia di consultazione pubblica e partecipazione procedimentale con ciò non esorbitando dal proprium della funzione giurisdizionale".

E ancora più avanti: "Il ragionamento di cui alla sentenza impugnata parte dal presupposto che un’autorità indipendente quale la Consob è attributaria di ampi poteri, caratterizzati da un grado di discrezionalità (sia essa amministrativa o tecnica) piuttosto elevato e che ciò impone il conferimento dei poteri medesimi a mezzo di disposizioni normative non formulate con un grado di eccessivo dettaglio (perché diversamente ne conseguirebbe una paralisi delle funzioni e una vanificazione dell’effettività e l’efficacia delle stesse)".

Tale ampiezza di poteri, spiega l'ordinanza, "definiti 'impliciti' e cioè atipici e innominati in quanto espressione di quel potere autoritativo amministrativo che, pur non previsto dalla legge, corre però 'parallelamente' ad un potere autoritativo tipico viceversa espressamente conferito da una norma ad un organo amministrativo, e che è legato da un nesso di 'strumentalità' con l’oggetto materiale e con l’interesse pubblico cui si riferisce il potere esplicito - determina, in sé, quella che il Giudice amministrativo ha definito una 'dequotazione' del principio di legalità sostanziale".

Quest’ultimo, si legge ancora, "benché parzialmente vulnerato, non viene del tutto pretermesso: lo specifico potere implicito individuato viene ritenuto legittimo e ammissibile in quanto elemento e condizione di effettività dell’esercizio di una funzione espressamente attribuita, a sua volta strumentale al conseguimento delle finalità individuate dalla legge".

E più avanti nell'ordinanza: "Trattasi di esercizio interpretativo del complessivo sistema normativo (sia quanto all’individuazione di un potere implicito sia quanto alla necessità applicazione delle generali regole di consultazione pubblica e partecipazione, nello specifico ritenute imprescindibili) svolto nell’ambito delle prerogative giurisdizionali ed in funzione meramente partecipativa (e di garanzia) rispetto al processo decisionale dell’Autorità, senza alcuna interferenza né nella sfera del potere legislativo né in quella riservata all’organo amministrativo. Ogni vizio afferente alla legittimità di tale esercizio interpretativo è sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite. Da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile".

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