Tumori, sfuggite nel 2020 oltre 15 mila diagnosi: un sistema da rifare da zero

In Italia, sono “sfuggiti” ai controlli, nel 2020 rispetto al 2019, in termini di mancate diagnosi oltre 3.300 carcinomi mammari, 2.782 lesioni cervicali e...

di Eduardo Cagnazzi
Consulto di Telemedicina 
Medicina
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Tumori, in Italia l'oncologia viene presa sotto gamba: necessario rafforzare digitalizzazione e risorse umane

Riorganizzare completamente l’oncologia se si vuole veramente trarre il massimo dai nuovi orizzonti terapeutici come quelli dell’oncologia molecolare. Come? Aumentando i posti nelle scuole di specializzazione, potenziando le reti oncologiche e rendendole omogenee sull’intero territorio nazionale, rafforzando la medicina territoriale per migliorare la risposta ai bisogni del malato e ridurre il carico attuale che pesa sul sistema ospedaliero, puntando sulla digitalizzazione. Obiettivi raggiungibili anche grazie alle opportunità introdotte dal Pnrr. È questa la roadmap tracciata dal Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri a Cagliari per fare il punto sull’oncologia che sarà e che il Paese vorrebbe.

Gli scenari                                                                                                                                   

Ad un’organizzazione già fortemente penalizzata dal decreto Balduzzi che ha drasticamente ridotto lo spazio riservato all’oncologia negli ospedali si assiste negli ultimi tempi al “sorpasso” delle patologie tumorali nei confronti di quelle cardiache. Come emerge da un’indagine pubblicata su The Lancet ogni anno circa 18 milioni di decessi nel mondo sono dovuti a cause cardiovascolari e 9-10 a quelle tumorali, ma nei Paesi ricchi gli “equilibri” stanno cambiando a favore dei tumori. Per cui se un simile scenario si diffonderà nei singoli Stati, entro 20 anni il cancro potrebbe diventare la prima causa di morte al mondo.

Nel nostro Paese sono stati registrati 46 milioni di visite specialistiche e accertamenti diagnostici e 3 milioni di screening oncologici in meno nel 2020 rispetto all’anno precedente. Sta inoltre aumentando il numero di tumori in stato avanzato: secondo l’Osservatorio Nazionale Screening si registrano in media 5 mesi di ritardo per lo screening del tumore del collo dell’utero, per quello del tumore della mammella e per lo screening colorettale. E ancora, sono “sfuggiti” ai controlli, nel 2020 rispetto al 2019, in termini di mancate diagnosi oltre 3.300 carcinomi mammari, 2.782 lesioni cervicali CIN2+, quasi 1.300 carcinomi colorettali e oltre 7.400 adenomi avanzati.

Tutto questo contrasta fortemente con i continui progressi dell’oncologia, soprattutto grazie alle nuove frontiere aperte dalla diagnosi molecolare: “La ricerca oggi riesce a dare risposte rapidamente applicabili alla pratica clinica -afferma Luigi Cavanna, presidente Cipomo- la diagnosi molecolare, sempre più precisa, permette di comprendere meglio la biologia dei tumori e quindi di indirizzare in modo più proficuo la terapia. Dalla profilazione genomica del tumore all’immunoterapia, nuove frontiere stanno portando l’oncologia sulla soglia di cambiamenti rivoluzionari. Ma tutto questo necessita di un forte supporto organizzativo e gestionale: l’attuale frammentarietà rischia di vanificare i continui progressi che invece si realizzano in campo medico.

Le proposte per ripensare l’oncologia                                                                                                    

Occorre quindi destinare in modo consapevole le risorse del Pnrr, perché l’organizzazione dell’oncologia va interamente ripensata. Innanzitutto, va ampliato il numero di posti nelle scuole di specializzazione, come spiega Cavanna “perché oggi soffriamo una grave carenza di oncologi”. Così come vanno potenziate le reti oncologiche “per creare un ‘tessuto connettivo’ che colleghi agevolmente tutte le realtà oncologiche distribuite sul territorio, anche perché diverse strutture nel tempo sono state chiuse o ridimensionate in varie regioniÈ inoltre fondamentale diffondere la ricerca clinica in ogni struttura sia ospedaliera che territoriale ove vengono curati i malati oncologici. Si dice da tempo che dove si fa ricerca si cura meglio e tutti i cittadini hanno il diritto di essere curati al meglio”.

Oggi il paziente oncologico si rivolge all’ospedale per tutto: visite, terapie e follow up, e diverse di queste prestazioni potrebbero essere realizzate in strutture territoriali prossime al domicilio del paziente: “Il potenziamento delle attività territoriali -prosegue Cavanna-ridurrebbe il carico che attualmente grava sugli ospedali con miglioramento della qualità di vita del malato, del caregiver, meno spese e minor perdita di tempo. Attività integrate di cure oncologiche, controlli o supporti come lo screening, la psico-oncologia, la riabilitazione, il supporto nutrizionale - solo per citarne alcune - possono infatti essere realizzate in modo molto più appropriato in ambito territoriale con grande beneficio per il paziente che diventerebbe più reattivo e motivato vedendosi curato vicino a casa, senza dover perdere ore per viaggi e attese per visite”.

Per questo tale motivo, rilevano i medici oncologi, la rete oncologica in prossimità del proprio domicilio va ristrutturata in modo capillare su tutto il territorio, tenendo ben presente che il malato dev’essere sempre al centro dei suoi bisogni sanitari attraverso una efficace interazione e integrazione ospedale-territorio in un continuum di cure, senza competizioni fra ospedale e territorio. 

Ma senza digitalizzazione e risorse umane non si va da nessuna parte: “Negli ultimi tre anni il Servizio sanitario nazionale -aggiunge Giuseppina Sarobba, presidente dell’evento- ha perso quasi 21mila medici specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8mila camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%”. Le cause che portano a questa drastica decisione sono le più svariate: dal ‘burnout’ alla ricerca di un posto che preservi il proprio benessere, al desiderio di poter avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro difendendo il ‘work-life balance".

Cosa cercano quindi i medici?                                                                                                     

Soprattutto orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia, un sistema che valorizzi le loro competenze. Insomma, un lavoro che permetta di dedicare più tempo ai pazienti.  Ma mentre il Pnrr mette in campo importanti investimenti per l’edilizia sanitaria e la digitalizzazione, niente è previsto per le risorse umane. Da qui le nuove sfide che impongono un cambiamento di paradigma e che chiamano in causa chi riveste posizioni apicali.

 

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