Erotismo e spiritualità nella "Thaïs” di Massenet alla Scala
Thaïs è un'opera che mette insieme e a contrasto sacro e profano. Il Teatro alla Scala quasi pieno alla prima
Thaïs di Jules Massenet, Affari alla Scala
Uno si chiede perché un'opera come Thaïs di Jules Massenet sia stata rappresentata alla Scala solo una volta, nel 1942. Opera che peraltro aveva debuttato in scena, a Parigi, nel 1894: 48 anni per arrivare a Milano e 80 per ritornarci. Forse perché non c'è nemmeno una nota che la colleghi allo specifico dna dell'opera italiana? E quindi poco palatabile per quelli che il critico musicale Alberto Mattioli definisce “melomani medi”? Probabile. Ci sono invece molti richiami al Wagner di Parsifal, e ai connazionali Gounod, Thomas, Offenbach; e ci sono sentori - relativamente ai momenti religiosi d'insieme - del futuro Poulenc dei Dialogues des Carmélites.
Insomma, onore e gloria alla Scala che ha deciso di riportare sul suo palcoscenico - teatro quasi pieno alla prima di ieri sera - questo lavoro per noi raro, e poco conosciuto ai più al di là del celebre intermezzo orchestrale Méditation, con le due arpe che arpeggiano sognanti (qui accompagnate da due ballerini che eseguono una coreografia raffinata e minimalista di particolare eleganza). Thaïs è un'opera che mette insieme e a contrasto erotismo e spiritualità, sensualità e fanatismo religioso, sacro e profano, peccato e redenzione, ma con una conclusione non convenzionale che vede il rovesciamento dei ruoli: l'eremita Athanaël vuole redimere la prostituta Thaïs; riesce nell'intento, ma quando la peccatrice si redime, il sant'uomo capisce che la sua attrazione verso di lei era ben più e ben altro che spirituale...
Un regista “cattolico e omosessuale”
Elemento interessante di questa produzione è il debutto scaligero di Olivier Py, regista francese cinquantaseienne, direttore del Festival di Avignone, che si autodefinisce “cattolico e omosessuale” e ha al suo attivo regie in Francia e Svizzera di opere di Weber, Wagner, Berlioz, Offenbach, Britten, Stravinsky. No opera italiana quindi, ma quell'humus culturale del prima e del dopo Massenet di cui abbiamo parlato all'inizio. Py entra sia nel registro della spiritualità sia in quello della sensualità, mescolandoli in una maniera che cattolici più “ortodossi” di lui definirebbero blasfema: la parodia dei “dissoluti”, uomini e donne, che aprono le braccia e con movimenti lascivi si appoggiamo alla croce può disturbare qualcuno. Ma del resto dopo Achille Lauro che si autobattezza a Sanremo, su un palcoscenico certo molto più nazionalpopolare di quello della piccola nicchia che frequenta i teatri d'opera, credo che certe provocazioni siano oggi più che sdoganate.
Viotti, il direttore social-star
Sul fronte musicale: il soprano lettone Marina Rebeka disegna con timbro caldo, voce capace di tenere il drammatico e il lirico, le due facce della protagonista. Lucas Meachem ha l'ingrato compito di sostituire l'ammalato Ludovic Tézier, uno dei migliori baritoni in attività; il raffronto è inevitabile e nel complesso il cantante americano supera la prova, anche se con alcune discontinuità nel tessuto vocale. Luminoso il timbro mozartiano del giovane tenore italiano Giovanni Sala, un artista - opinione personale - dal grande futuro nel repertorio “chiaro” (per il drammatico c'è tempo, ammesso che avvenga e che sia una “promozione”).
Due parole infine su Lorenzo Viotti, 32 anni, svizzero di sangue italiano (il padre, Marcello, è stato uno dei più raffinati direttori d'orchestra di fine Novecento), a capo dell'Opera di Amsterdam, una delle giovani bacchette (con Mariotti, Lanzillotta, Rustioni, Ciampa e altri) che si stanno rapidamente affermando sulla scena internazionale. Viotti è un brillante influencer, testimonial di una famosa marca di orologi, star dei social media, dove gioca molto abilmente sulla sua avvenenza fisica e utilizza in maniera efficace le regole della comunicazione social, del tutto diverse da quelle convenzionali. Si presenta e viene percepito come un “piacione”, ma vi assicuro, avendo avuto l'opportunità di assistere alla prova d'insieme, che il suo rapporto con l'orchestra è tutt'altro che coccole e sorrisi: Viotti è severo, puntiglioso, metodico, esigente, rigoroso. Il risultato complessivo è quello di una direzione di grande qualità, capace di far emergere i mille dettagli di una partitura complessa, iridescente, sofisticata, piena di opposti. Il nostro augurio è che il Viotti social-star non guasti la crescita del Viotti musicista e che la comunicazione spinta sia per lui un mezzo, non un fine. Abbiamo bisogno di talenti che ringiovaniscano l'audience e allarghino il pubblico della musica “colta”: Viotti ne ha certo le capacità. Speriamo che non si perda per strada.