La luce di Mendelssohn splende con Tjeknavorian

Un viaggio emozionante tra capolavori senza tempo: Mendelssohn, Schönberg e Schumann brillano sotto la guida di Tjeknavorian, talento virtuoso della Sinfonica di Milano

Di Francesco Bogliari

Emmanuel Tjeknavorian, credito fotografico Orchestra Sinfonica di Milano

Milano

La luce di Mendelssohn splende con Tjeknavorian

“Pochi momenti come questi belli, / a quanti l'odio consuma e l'amore, / è dato, sotto il cielo, di vedere.” I versi di Umberto Saba, dedicati a una partita di calcio, sono tornati alla mente del vostro cronista mentre ascoltava, domenica mattina 24 novembre, in quel gioiello in miniatura che è il Teatro Girolamo di Milano, l'Ottetto per archi in Mi bemolle maggiore op. 20 di Mendelssohn. Musica che definire luce è poco; musica che è e dà gioia; musica che rende felici, anzi Felix, come il nome del compositore che creò questo capolavoro a sedici anni. Sì, avete letto bene, sedici anni! Musica che, parafrasando Saba, è capace di rendere belli i momenti della altrimenti tormentata nostra vita.

L’Ottetto è una meraviglia assoluta, e chi scrive ne assume dosi regolari da decenni, tanto da esserne diventato “addicted”. Le ondate eleganti, flessuose e morbide del primo movimento (“Allegro moderato ma con fuoco”); la melodia elegiaca del secondo (“Andante”); la vorticosa leggerezza, trasparente e impareggiabile del terzo, lo “Scherzo-allegro leggierissimo”; la frenesia contrappuntistica incalzante del “Presto” finale. Un miracolo di purezza, serenità e bellezza. Sul piccolo palco del Girolamo Emmanuel Tjeknavorian al violino ha guidato i solisti della Sinfonica di Milano: i violini Luca Santaniello, Klest Kripa e Marco Capotosto, le viole Miho Yamagishi e Cono Cusmà Piccione, i violoncelli Tobia Scarpolini e Giulio Cazzani, in una esecuzione mirabile. Con Tjeknavorian splendente nel suo virtuosismo, che non è solo tecnica ma anche anima, pathos, gioia di fare musica insieme.

Si chiude così in gloria l’anno mendelsshoniano del vostro cronista, aperto dal Trio n° 1 in re minore eseguito alla Scala lo scorso 1° dicembre 2023 dai tre giganti Martha Argerich, Janine Jansen e Misha Maisky (qui l’articolo: https://www.affaritaliani.it/milano/il-concerto-alla-scala-dei-tre-grandi-solisti-argerich-jansen-maisky-889846.html).

Ma il concerto del Girolamo era stato aperto da un altro capolavoro, la prima versione di “Verklärte Nacht” (“Notte trasfigurata”) composta per sei archi nel 1899 da un Arnold Schönberg venticinquenne, che l’avrebbe poi trascritta per orchestra d’archi nel 1917 e rivista infine nel 1943. Una composizione rarefatta e insieme vibrante ispirata a una poesia di Richard Demel, in pratica un “poema sinfonico”, l’unico della storia scritto per organico cameristico, che sta a cavallo tra Wagner e Brahms e ai confini della tonalità. Respinta dal pubblico viennese alla prima del 1902, è diventata nel tempo un caposaldo della musica
del ‘900.

Il giovane talento Lozakovic nel Concerto per violino di Schumann

Emmanuel Tjeknavorian, il ventinovenne direttore/violinista austriaco di origini armene che da quest'anno e per un triennio è alla guida della Orchestra Sinfonica di Milano, era stato protagonista di un eccellente concerto già venerdì sera – ripetuto domenica pomeriggio – all'Auditorium di Corso San Gottardo, anche questo aperto da Mendelssohn (ouverture “Le Ebridi”) e concluso dalla “rossiniana” Sinfonia n^6 (detta ”La Piccola”) di Franz Schubert.

Il fulcro della serata era stato l'enigmatico, per certi versi oscuro, Concerto per violino di Robert Schumann, un pezzo dalla lunga e controversa storia interpretativa, affidato all'archetto del ventiduenne svedese Daniel Lozakovich – primo concerto da solista a Mosca all’età di 9 anni – uno dei giovani talenti che stanno conquistando le platee di tutto il mondo. Una lettura che al vostro cronista è apparsa altamente concettuale (qualcuno in sala l'ha definita algida), con poche concessioni al sentimentalismo e una mirabile interiorizzazione soprattutto nel secondo movimento, un adagio che racconta come poche altre composizioni i tormenti del compositore destinato a entrare in manicomio pochi mesi dopo. L’arduo bis solistico (la terza sonata di Ysaye) ha fatto capire ancor di più le eccezionali qualità tecniche dell’“enfant (ora “jeune”) prodige” scandinavo. Un fine settimana quindi nel nome di Emmanuel Tjeknavorian (tre sostantivi per definirne le peculiarità artistiche, sia come direttore sia come solista: eleganza, levità, vigore), chiamato con il preciso compito di svecchiare e allargare il pubblico della ex Orchestra Verdi. Visto il programma, la stagione 2024-25 promette di essere molto interessante.

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