Milano

Il concerto alla Scala dei tre grandi solisti Argerich, Jansen e Maisky

Francesco Bogliari

La musica come stupore e meraviglia: Martha Argerich, Janine Jansen e Mischa Maisky incantano esibendosi in formazione cameristica

Il concerto alla Scala dei tre grandi solisti Argerich, Jansen e Maisky

Se fare musica è gioia, venerdì 1° dicembre alla Scala Martha Argerich, Janine Jansen e Mischa Maisky hanno dimostrato cosa sia dare gioia. Se ascoltare musica è gioia, venerdì sera chi era alla Scala ha capito cosa sia provare gioia. Del resto non capita spesso di ascoltare tre giganti di questo livello suonare in formazione cameristica: è stato come veder giocare insieme Pelé, Maradona e Messi.

Che dire di due monumenti della musica classica come Martha Argerich (82 anni) e Mischa Maisky (75)? Niente di più di quanto non sia stato detto e scritto da decenni su di loro in tutto il mondo. Semplicemente: meraviglia e stupore ancora oggi.

Quanto alla “giovane” (45 anni) ma già famosissima violinista olandese, c’era il rischio che rimanesse schiacciata sotto il carisma immenso dei due colleghi, che sono anche grandissimi marpioni (soprattutto Maisky, che “sceneggia” molto la sua interpretazione). Janine Jansen ha scelto di non gareggiare in forza ma di fare semplicemente “cantare”, mai “gridare” il suo violino: una interpretazione di altissima musicalità.

Argerich,  Jansen e Maisky: il concerto alla Scala

Dopo la calda eleganza del Trio n. 39 in sol maggiore di Franz Joseph Haydn, i tre giganti hanno affrontato la scabrosità meditativa del Trio n.2 in mi minore op. 67 di Dmitri Shostakovich, scritto nel 1944 e dedicato alla morte di un amico. Impressionante il secondo movimento, un largo spoglio, funereo, una sequenza di accordi lenti del pianoforte su cui violino e violoncello innestano un serrato dialogo, al quale segue una danza macabra allo stesso tempo violenta e rassegnata. Per poi giungere al finale in cui la musica si dissolve lentamente nel nulla. Una composizione del genere, o si è grandi musicisti, o è meglio lasciarla sui leggii...

Dopo l'intervallo è stata la volta del Trio n. 1 in re minore op. 49 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, di cui Robert Schumann ebbe a scrivere: «Questo è il lavoro di un maestro, come lo furono a loro tempo quelli di Beethoven in si bemolle e in re, come lo era quello di Schubert in mi bemolle. Questo Trio è una eccellente composizione che tra qualche anno delizierà i nostri nipoti e pronipoti. Mendelssohn è il Mozart del nostro momento storico, il più brillante dei musicisti, quello che ha individuato più chiaramente le contraddizioni dell’epoca e il primo che le ha riconciliate tra di loro». Mezz’ora di gioia assoluta. «Il Trio – a parere del grande musicologo Gioachino Lanza Tomasi – è sfaccettato con la precisione di una gemma. Il romanticismo è qui perfezione di calcolo». E il secondo movimento, andante con moto tranquillo, ha messo a dura prova l'agnosticismo del vostro cronista. Perché se Dio c'è, forse ha deciso di manifestarsi in questi sette minuti di musica suprema.

Dieci minuti di applausi e tre bis per Argerich,  Jansen e Maisky

Pubblico in delirio (teatro sold-out, per un concerto di musica da camera non è mai scontato), dieci minuti di applausi e tre bis: il primo la trascrizione per trio del sublime lied di Schubert “An die Musik”. Dal Paradiso passo e chiudo.







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