Alluvione in Emilia Romagna: Bonaccini senza pudore, vada a casa
Il disastro di queste ore mostra quante tonnellate di polvere sono state nascoste sotto il tappeto della retorica della buona amministrazione emiliano romagnola
Alluvione in Emilia Romagna, il mito della "buona amministrazione" non c'è più
Non basterà tutta la pioggia che è caduta in questa alluvione per lavare la coscienza degli amministratori emiliano romagnoli. Non può andare sott’acqua mezza regione, con quasi tutti i torrenti esondati, e sentire Bonaccini dare la colpa al fato.
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Gli amministratori vivono in un territorio figlio delle paludi, non portano a termine le casse di espansione per drenare l’acqua in eccedenza intorno ai fiumi, non tolgono le ostruzioni nei torrenti, non puliscono i fossati di scolo, non curano la sicurezza degli edifici a rischio, non risanano il territorio più pericoloso e prendono anche per i fondelli i propri cittadini, come Bonaccini che scrive sui social: “L’undicesimo anno dal sisma in Emilia cade nel momento in cui siamo alle prese con un nuovo terremoto: l’alluvione che in questi giorni ha colpito il nostro territorio”.
No, il terremoto è un evento imprevedibile, l’alluvione non lo è! Tanto meno in una terra per definizione “alluvionale” come l’Emilia Romagna. E come si fa, dopo questo disastro atteso, a dargli anche l’incarico di ricostruire? Perché il presidente Bonaccini, in più, aspira a fare il commissario speciale alla ricostruzione!
E’ ora, dopo 14 morti, 36.000 sfollati e migliaia che hanno perso ogni avere, risparmi e lavoro, che Bonaccini e il suo gruppo dirigente vadano a casa. Sarebbe il minimo sindacale. Anche perché quando costruisci una vita in Emilia Romagna nessuno ti regala niente. Se compri casa a Bologna, Faenza, Forlì, Ravenna, Cesena, Castel Bolognese o altre zone della Romagna non te la fanno pagare metà del prezzo perché prima o poi ti ritroverai 2 metri d’acqua in casa o un fiume che ti scoppia in cantina!
E’ caduta una gran massa d’acqua, non paragonabile a quella riversatasi in Veneto nel 2018. Luca Zaia, appena diventato presidente, memore dell’alluvione del 2010 su Padova e Vicenza, ha investito 2,1 miliardi di euro per mitigare le piene. Così facendo non ha avuto nel 2018 danni all’abitato e alle colture nonostante i 700 millimetri di pioggia (il doppio dei 300 caduti in Romagna oggi). Quindi qualche riflessione andrebbe fatta. Invece no, i media mainstream ripetono il refrain che è colpa del cambiamento climatico. Al resto ci pensa la spettacolarizzazione del dolore in tv.
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Il disastro di queste ore mostra quante tonnellate di polvere sono state nascoste, per anni, sotto il tappeto della retorica della buona amministrazione emiliano romagnola. Certamente questa è esistita, negli anni ‘60 e ‘70, con i primi asili nido, i dopo scuola, la sanità all’avanguardia, ma è diventata già un falso mito spernacchiato anche dagli stessi amministratori del Pci, Pds, Ds, negli anni ‘80 e ‘90, figuriamoci oggi.
E dove nasce questo mito? Da Palmiro Togliatti che spiegava nei congressi del Pci come gli amministratori emiliani incarnassero il più alto ideale del partito. Diceva che mentre i democristiani e i socialisti rubavano, loro dovevano dimostrare che poteva esserci un altro modello di società, quella emiliana, dove i soldi pubblici venivano spesi per migliorare le condizioni di vita della gente.
Gli amministratori emiliano romagnoli non dovevano “andare a Roma” ma rimanere nelle province a mostrare che anche economicamente era conveniente vivere in una società di sinistra. Anzi da Roma arrivavano i grandi urbanisti che dovevano rinforzare il mito, come Campos Venuti. Ma in Emilia Romagna ogni cosa era consentita, se aderivi formalmente al partito, anche la cementificazione selvaggia. Bastava sostenere economicamente i propri candidati, le scelte dei compagni, partecipare con qualche ruolo ai business collettivi, a quelli delle cooperative e degli imprenditori amici e gli amministratori garantivano il “benessere”. Poi ci pensava L’Unità a raccontare il più bel mondo possibile e gli intellettuali e i giornalisti a ripetere l’omelia della buona amministrazione.
Era gente che comunque viveva e conosceva il proprio territorio. L’Emilia Romagna è cresciuta nel suo racconto storico, raffigurato con le alluvioni perpetue, trasposte in pellicola anche nei film di Don Camillo e Peppone di Guareschi.
Memoria storica che non esiste più: ora c’è il cambiamento climatico.
Da allora però il partito non si è mosso di un passo, non aggiungendo alcuna innovazione sociale al quadro del vecchio Togliatti, forse solo “la coop sei tu!”: l’illusione di salvare il mondo mentre fai la spesa. Poi in realtà non sono neanche riusciti a salvare casa loro.
Oggi non esiste più il partito, trascinatosi malamente negli anni, di comparsa in comparsa, fino al Pd attuale, fatto di singole “vedette” della politica che spendono il proprio tempo tra il social marketing, le consulenze di armocromia e le sedute per rifarsi le sopracciglia. Si sono dimenticati la realtà del territorio e della gente: nella palude servono più le galosce e lo studio del Cavo napolenonico che il microblading o l'impermeabile del colore giusto.
Quella società creata da nonno Palmiro non esiste più. Bonaccini è il suo nipotino ma senza la cultura e l’astuzia di nonno Palmiro. Non esiste più neanche la buona amministrazione emiliano romagnola. Oggi è rimasta la laboriosità di un popolo che paga ancora dazio agli amministratori pubblici che sono diventati incapaci al punto di essere pericolosi.