Cirino Pomicino: "Il centro? Solo un segnale stradale. Nessuna svolta"

Parla con Affari l’ex ministro democristiano Pomicino: "Nulla lascia prevedere un’evoluzione in grado di scomporre e ricomporre le forze politiche. Un disastro"

di Paola Alagia
Paolo Cirino Pomicino
Lapresse
Politica
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L’intervista, seppur smentita, di Silvio Berlusconi a La Stampa si è abbattuta come un siluro su un centrodestra già in affanno a poche ore dal voto delle amministrative. Una presa di distanze dal sovranismo, incarnato da Giorgia Meloni (con il partito scosso dall’inchiesta sulla destra milanese di Fanpage.it)  e Matteo Salvini, che nel corpaccione di Forza Italia – almeno in buona parte – è piaciuta. Così come non dispiace a quei fuoriusciti da FI con una lunga storia azzurra alle spalle. A questo si aggiunge l’analisi sul centro liberale che fa il Cav oggi sul Giornale.  Sono ancora solo due indizi, è vero. Ma se tre costituiscono una prova, allora li si può sommare alle ultime uscite a gamba tesa del numero due della Lega Giancarlo Giorgetti, espressione nel Carroccio di una linea governista e punto di riferimento per il partito al Nord. Segnali di scomposizione e ricomposizione verso il centro? Affaritaliani.it lo ha chiesto a un politico di lungo corso come Paolo Cirino Pomicino. L’ex ministro democristiano del Bilancio, intervistato dal nostro giornale, stronca subito l’ipotesi: “Non c’è nulla che possa lasciar prevedere un’evoluzione in grado di scomporre e ricomporre le forze politiche”.

Eppure, la parola 'centro' viene evocata sempre più spesso ultimamente. Stamani Silvio Berlusconi dalle colonne del Giornale, pur ammettendo di semplificare, parla di Forza Italia come movimento di 'centro'.
Siamo di fronte a una crisi profonda della politica e dei partiti. Dire centro senza una qualificazione non significa niente, resta il termine geometrico, che in genere è un segnale stradale. Ma questo vale anche per destra e sinistra.

Come interpreta allora queste ultime prese di posizione in direzione anti-sovranista?
Sono nervosismi legati a vicenda particolari, non rappresentano un’elaborazione politica tale da consentire di prevedere nuovi scenari. Siamo dinanzi a un sistema politico molto confuso, in grande crisi e quindi soggetto al vento quotidiano che però non produce risultati. Almeno a mio giudizio, non sarà questo tipo di difficoltà oggettiva oggi di Salvini a far immaginare una scomposizione e ricomposizione delle forze politiche. Si tratta solo di vicende molto modeste e, aggiungo, anche fuorvianti.

Si riferisce all’affaire Morisi?
Al caso Morisi, ma anche alla diversità d’opinione tra Giorgetti e Salvini.

Anche al di fuori del centrodestra, però, qualcosa si muove, guardando a forze quali Italia viva, +Europa e Azione.
Manca una riflessione culturale e politica. Siamo alle convulsioni quotidiane legate ad avvenimenti altrettanto quotidiani. I partiti si scompongono o si fondano sulla base di elaborazioni culturali e politiche, ma il sistema italiano ha messo in soffitta sia la cultura e sia la politica alta.

Il Governo Draghi ha contribuito, secondo lei?
Il Governo Draghi è una garanzia per il Paese e questo il Parlamento lo sa.

Dunque, i partiti sono destinati a galleggiare?
Se avessero una guida intelligente, i partiti potrebbero cogliere questo tempo che l’esecutivo Draghi dà per rifondarsi, rilanciarsi e lavorare sia sul terreno dei riferimenti culturali che dell’organizzazione democratica interna. Adesso non abbiamo né gli uni e né l’altra. Siamo in un disastro. Lo vediamo da tre anni a questa parte: il Parlamento certifica che non c’è al suo interno nessun membro che sia in condizioni di poter essere presidente del Consiglio. Tanto è vero che si sono succeduti tre governi affidati a persone esterne. Più crisi di così…