“Ministero della Cultura a Firenze, Consob e dicastero Industrie a Milano"

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti affida le sue riflessioni in “L’Umberto, l’uomo che ha inventato il Nord”, libro su Bossi

di Gabriele Penna
Politica

Lega: nel libro su Bossi le riflessioni di Giorgetti su passato e futuro

Il leghismo come “un richiamo della foresta”, i “lombardi un po’ coglioni”, i “meccanismi romani” che “non sono funzionali all’efficienza”, la sede della Consob a Milano. In “L’Umberto, l’uomo che ha inventato il Nord”, testo fresco di stampa (Piemme, 222 pp, 18,90 euro), Giancarlo Giorgetti si sbottona e si lascia andare con Aurora Lussana, giornalista e profonda conoscitrice del mondo Lega, a qualche riflessione sui 40 anni appena compiuti dal Carroccio.

Giorgetti, da oltre vent’anni “l’architrave della linea economica della Lega”, così lo descrive l’autrice, è da sempre vicino a Bossi. E questo, dai ragionamenti consegnati nel libro dedicato al Senatur, si capisce perfettamente. Un segnale dopo la sconfessione pubblica di qualche giorno fa di Bossi nei confronti di Salvini (“Alla Lega serve un nuovo leader”).

Giorgetti dice e non dice. Come è nel suo stile. Va codificato. È un leghista anomalo. Non pittoresco, non macchiettistico e nemmeno improvvisato. È un vecchio dirigente che parla poco, ma quando lo fa non è banale.

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L’attuale ministro dell’Economia sostiene, per esempio, che la prima stagione della Lega Nord, quella legata alla leadership carismatica di Umberto Bossi “è da consegnare alla storia“ e “non è ripetibile” perché adesso il Carroccio si trova “nella fase della maturità e del consolidamento istituzionale”. Come a dire ai vari cacicchi leghisti che chiedono più federalismo che quel tempo è finito perché la Lega oggi è un’altra cosa.

Bisogna che gli Zaia se ne facciano una ragione. Certo, “Bossi ha fatto risvegliare un sentimento federalista” che oggi è diventato un “patrimonio meno partigiano” e che garantisce il Sistema. Un “paradosso”, dice Giorgetti, “frutto di una lunga storia fatta anche di errori che ha fatto crescere e lievitare una classe di giovani”.

Giorgetti si interroga sulle “sfide della contemporaneità”. Non siamo più di fronte alla Lega dei raduni folkloristici. Ora c’è “un’umanità diversa rispetto a quella di trent’anni fa”, spiega. “Adesso - qui l’anatomia del leghista attuale – c’è qualcuno che non è più naturalmente leghista ma è politicamente leghista”.

Giorgetti si sofferma sulla contraddizione “di un movimento federalista che deve fare asse con i movimenti nazionalisti per le battaglie epocali”. La svolta sovranista è stata necessaria.

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Sulla struttura di partito non si discute: “La Lega ha la necessità di avere un capo riconosciuto, una catena di comando molto chiara”. Che ci sia ancora Salvini al vertice di questa gerarchia è tutto da vedere. Tuttavia il segreto della Lega è “la capacita di adattamento”. Nulla è scolpito nella pietra. Tanto il “leghismo è un rumore di fondo che resta sempre, un richiamo della foresta”.

Bossi lo aveva designato come successore. Giorgetti conferma. “Ma gli eventi mi hanno portato a fare altro”, anche se “tempo per tempo, servono persone con determinate caratteristiche per portare avanti la battaglia”. Pensa al dopo Salvini?

Non mancano le citazioni colte, come quella del Manzoni che ha “ben spiegato l’animo contorto remissivo dei lombardi umili e offesi”, parlando di Provvidenza, così come Gianni Brera che scriveva “che noi lombardi siamo un po’ coglioni”. Per il dirigente più importante del partito autonomista del governo più stato-centrico della storia della Repubblica, comunque, ha ancora senso la proposta di dislocare i ministeri. Quello della Cultura “starebbe benissimo a Firenze” come quello delle Imprese a Milano, che troverebbe “un humus più congeniale”. Così come la Consob, autorità amministrativa indipendente che vigila sui mercati finanziari. Perché in fondo, “alcuni meccanismi romani non sono funzionali all’efficienza”.

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