Dal lavoro all'ambiente, altro che alleanze: per Elly il Csx è un labirinto
Impossibile trovare un terreno comune a M5s, Terzo polo, Più Europa e Alleanza Verdi e Sinistra
Pd, il nodo delle alleanze per Elly Schlein
Con Elly Schlein, fresca di proclamazione alla segreteria, si apre ufficialmente una nuova stagione per il Pd, ma non anche per le opposizioni. E’ difficile, infatti, che col cambio al vertice del Nazareno queste ultime ritroveranno una comune ragion d’essere. Né, c’è da dire, potranno essere uno sprone le Europee che si terranno tra un anno, essendo elezioni proporzionali. A tutto vantaggio, quindi, di Giorgia Meloni che, per quanto possa temere una donna come Elly a capo del principale partito di minoranza, è destinata a dormire sonni tranquilli, avendo dalla sua una coalizione capace di rimanere unita, pur tra mille sgambetti e distinguo. Proprio quella su cui non può contare l’ex numero uno di OccupyPd. Senza dubbio, una zavorra non da poco per la sua leadership.
Del resto, le chance di mettere d’accordo la galassia di centrosinistra si contano sulla punta delle dita. E non si tratta delle solite prese di posizione quasi obbligate da parte dei leader delle opposizioni, che pure non mancano (Il leader di Azione Carlo Calenda lo ha messo subito in chiaro: "Un conto fare alcune battaglie insieme, un conto è un'alleanza”). No, si tratta proprio di atti politici rispetto ai quali, è evidente, diventa poi difficile fare marce indietro o correggere il tiro. Uno su tutti è rappresentato dalla proposta di legge in materia di conflitti d’interesse a prima firma Giuseppe Conte e che ha appena iniziato il suo iter in commissione Affari costituzionali alla Camera.
E’ vero che si tratta di uno storico cavallo di battaglia dei pentastellati, ma non c’è dubbio che sia anche una vera e propria dichiarazione di guerra a Italia viva e al suo leader Matteo Renzi. L’articolo 15 sul “divieto di percezione di erogazioni provenienti da Stati esteri” (non si possono “accettare durante il proprio mandato e nell’anno successivo alla cessazione dello stesso, contributi, prestazioni o altre utilità di valore complessivo superiore a 5.000 euro”, riporta l’articolato), infatti, sembra scritto proprio per colpire l’ex premier che finora ha avuto gioco facile nel rigettare accuse a e attacchi politici per i suoi impegni di conferenziere dietro il paravento delle attività “non illegali”.
Per par condicio, c’è da dire che pure Italia viva già non sta nella pelle all’idea di poter guidare, appena sarà costituita, la commissione d’inchiesta sul Covid, essendo il partito di Renzi tra i principali accusatori della gestione pandemica targata Conte. Ma questo è solo un assaggio delle difficoltà che incontrerebbe Schlein nel tenere insieme le opposizioni.
La segretaria del Pd proprio ieri ha cercato di galvanizzare i suoi e se stessa con un perentorio “Dobbiamo cercare di dialogare con le altre forze di opposizione, ci sono terreni comuni, abbiamo la responsabilità di esplorarli insieme”. Peccato però che, poi, tali terreni comuni vadano cercati con il lanternino. Il salario minimo legale, per esempio, potrebbe essere uno di questi, anche se dalla Sinistra al Pd, passando per Terzo polo e M5s per ora ogni forza politica è concentrata a fissare la propria bandierina, si tratti pure solo di 50 centesimi di differenza tra una paga oraria e l’altra. Persino sull’immigrazione, dopo la tragedia di Cutro, i distinguo non sono mancati. Risultato? La proposta di legge del deputato di +Europa Riccardo Magi per superare la Bossi-Fini ha incassato il sostegno dell’Alleanza Sinistra e Verdi, del Terzo Polo, del Pd, ma non del M5s.
A breve, inoltre, dovrebbe arrivare in Cdm il pacchetto lavoro annunciato dalla ministra Elvira Calderone. Anche questo, c’è da scommettere, non sarà il banco di prova in grado di consacrare Schlein quale leader delle opposizioni. Prendiamo a esempio la liberalizzazione dei contratti a termine senza causali da 12 a 24 mesi cui punta il Governo: così come non è difficile ipotizzare aperture da parte del Terzo polo, è invece del tutto impossibile trovarne in casa M5s che continuerà a difendere a spada tratta sempre e soltanto il suo decreto Dignità.
Né è immaginabile che l’inquilina del Nazareno possa intestarsi una proposta alternativa in materia di lavoro in grado di creare un fronte comune. Da qualunque lato la si guardi, infatti, è materia che scotta perché inevitabilmente comporta la necessità di vedersela col Jobs Act. Un conto è la ferma e risaputa contrarietà della segretaria dem verso la misura renziana, ma un altro è un comune sentire (che non c’è) nel partito. E un altro conto ancora dover poi intavolare un confronto con i terzopolisti di Italia viva.
Ci sono infine i nodi sulla guerra in Ucraina e le tematiche ambientali che verranno al pettine. Sul primo fronte, se da Schlein non arriverà alcuna svolta antibellicista, l’unico asse che il Pd potrà fare sarà con i più atlantisti della minoranza, Renzi e Calenda in primis. Di certo non con il partito di Conte che già si è posizionato in riva al fiume: aspetta la neosegretaria sulle armi a Kiev, così come sull’inceneritore a Roma, fortemente sponsorizzato dal sindaco Roberto Gualtieri.
Nota dolente quest’ultima, sulla quale i Cinque stelle hanno già dimostrato di fare sul serio, prima con la caduta del governo Draghi e poi con la mancata alleanza con i dem alle regionali del Lazio. Non solo, ma a dicembre scorso hanno presentato in Parlamento anche un’interrogazione per chiedere ai ministri dell’Ambiente e della Salute Pichetto Fratin e Schillaci se “non intendano riconsiderare la decisione di realizzare l'impianto fortemente impattante sul territorio e sulla salute, e non risolutivo della questione della gestione del ciclo dei rifiuti”.
Una matassa difficile da sbrogliare per Schlein innanzitutto in casa sua, figurarsi alla guida ipotetica delle minoranze. Dentro il Pd, infatti, deve vedersela con il sindaco della Capitale e fuori con Renzi e Calenda, ovviamente contrari alla politica sui rifiuti targata Cinque stelle. La segretaria per ora prende tempo, dice che servirà un confronto con gli amministratori locali. Anche questo, insomma, non proprio un buon viatico sulla strada accidentata di una leadership riconosciuta da tutti gli oppositori di Giorgia Meloni.