Elezioni regionali, Fdi alla carica: il partito di Meloni in pressing minaccia le roccaforti leghiste del Veneto, Lombardia e Trentino
L’obiettivo di Fratelli d'Italia è quello di conquistare quello spazio e quelle poltrone che al partito mancano per ragioni storiche
Elezioni regionali, Fdi minaccia le roccaforti leghiste del Veneto, Lombardia e Trentino
Nel calcio si chiama gegenpressing: andare a pressare gli avversari nella loro metà campo e farlo in maniera asfissiante, per riconquistare palla vicino alla porta e fare gol in pochi secondi. Una tattica che sembra essere stata adottata da Fratelli d’Italia su ben altro terreno di gioco: quello delle elezioni regionali. Ma – questo il dato saliente – non contro un avversario, bensì contro un alleato di governo: la Lega. L’obiettivo è quello di conquistare quello spazio e quelle poltrone che al partito mancano per ragioni storiche.
Il tallonamento sembra in corso su almeno tre fronti: Veneto, Lombardia, Trentino Alto-Adige. Roccaforti leghiste, specie le prime due, dove Fratelli d’Italia sgomita per far sentire la propria voce e imporsi, forte dei risultati elettorali che segnano un travaso di voto interno alla destra. Proprio da qui parte l’accerchiamento dei Fratelli verso il Carroccio in terra euganea. Alle Europee il partito di Giorgia Meloni ha quasi triplicato quello di Matteo Salvini: 774.624 (37,58%9 a 271.142 (13,5%). Dunque, ha detto ieri ad Affaritaliani il senatore meloniano Raffaele Speranzon, “è normale e logico che per il candidato presidente” si guardi dentro FdI.
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Di più: in una nota ha aggiunto che “non è corretto dire che siamo noi che rivendichiamo il Veneto: sono i veneti che riversando un consenso enorme su FdI hanno dato una chiara indicazione sulla forza politica che meglio li rappresenta”. La partita veneta, dove si vota nel 2025, è più che aperta. Il Carroccio vuole confermare una poltrona dal forte valore simbolico. “Il Veneto non è terra di conquista. Lotteremo fino alla fine perché il presidente della Regione rimanga leghista. Capisco le legittime aspirazioni di FdI, ma il Veneto è troppo importante per la Lega, è la nostra linea del Piave. Qui siamo ancora noi il partito più radicato”, la pronta risposta di Alberto Villanova, capogruppo della lista di Luca Zaia in Consiglio regionale.
Salvini, dal canto suo, vorrebbe tenersi stretto la regione – l’avallo della candidatura in Liguria di Marco Bucci e non del leghista Edoardo Rixi era stato dettato anche dalla volontà di avere più spazio di manovra per le trattative in Veneto – e lo ha ribadito ieri: “La nostra priorità è un candidato della Lega”.
Eppure, secondo diverse voci, se costretto a scegliere il Capitano opterebbe per la Lombardia, dove FdI parte da una posizione di forza: in Consiglio regionale conta 22 seggi, la Lega 15 a cui si aggiungono i quattro della lista Lombardia ideale del presidente Attilio Fontana. La partita è lunga – si vota nel 2028. Eppure, anche da qui i segnali iniziano ad arrivare.
La legge sul fine-vita è stata affossata il 19 novembre dietro lo schermo della pregiudiziale di costituzionalità, con voto pressoché compatto della maggioranza (solo cinque franchi tiratori). La decisione, però, è stata tutt’altro che serena. Fontana, favorevole, si era pronunciato affinché si arrivasse al voto in aula e la Lega non aveva dato ordini di scuderia, lasciando libertà di coscienza. A premere per la pregiudiziale di costituzionalità sono stati soprattutto i Fratelli, che hanno puntato – vincendo – a prevenire il dibattito di merito e convincendo gli altri gruppi a evitare una frattura evidente.
Eccola, l’arma con cui il partito di Meloni prova a forzare la mano alla Lega. Avendo dalla propria i voti ma sapendo che questi potrebbero non bastare, FdI fa la voce grossa con gli alleati, imponendo la propria linea sapendo che tanto a un vero e proprio strappo non si arriverà. Troppo pericoloso quando l’alleanza va oltre i confini regionali e arriva fino al governo.
A dimostrazione di ciò, l’atteggiamento di FdI in Trentino Alto-Adige, dove pure è meno forte della Lega. FdI ha imposto la sua linea in Consiglio regionale sulla questione della ricandidabilità dei sindaci, facendo adeguare la norma a quella nazionale, che prevede nessun limite di mandati consecutivi ai sindaci dei comuni con meno di cinquemila abitanti, tre mandati per quelli fino a 15mila e due per i restanti. La Lega, invece, era favorevole a estendere il limite di tre mandati anche ai grandi comuni, al fine di provare a giocarsi questa carta per ottenere un terzo mandato per Fugatti.
Così, i leghisti non hanno votato a favore, ma nemmeno si è consumato lo strappo plateale si sono astenuti, eccezione fatta per il consigliere Mirko Bisesti. In tutto questo, il presidente della Provincia autonoma di Trento ha tenuto un basso profilo, come sulla questione del ripristino degli standard di autonomia ai livelli pre-2001 promessa da Meloni nel 2022. Percorso, questo, che si è bloccato, ma Fugatti lascia che a fare il lavoro sporco di incalzare il governo, addossandogli le colpe del ritardo, sia il collega Arno Kompatscher (Südtiroler Vokspartei), anche lui alleato di FdI a Bolzano ma non legato a doppio filo al partito della presidente del Consiglio e quindi in possibilità, teoricamente, di far saltare il banco.